venerdì 23 marzo 2012

Le nostre interviste - DARIO TANGHETTI

Dario Tanghetti



Percussionista, batterista, musicista, showman, musicofilo... e chi più ne ha più ne metta!!! Dario Tanghetti è un vero e proprio vulcano di energia e musica pronto ad esplodere ogniqualvolta un palco lo chiami a sè. In una rara pausa della sua serratissima agenda, capace di far passare il segretario della Nazioni Unite per disoccupato, ho avuto il piacere di fare due chiacchiere con questo spumeggiante esponente della musica contemporanea, da molti anni un caro amico,  del sottoscritto, come del resto della Corale tutta. Ecco cosa ci siamo detti un pomeriggio di qualche giorno fa, insolitamente caldo per il periodo, insolitamente di riposo per Dario! 

Come è nato il tuo rapporto con la musica? E' iniziato fin da subito grazie alle percussioni, o ti sei avvicinato a questo mondo attraverso un altro strumento?

Il mio rapporto con la musica è nato grazie a mia mamma, una pianista di professione in attivo sin dagli anni sessanta, e che si è esibita in tutta Europa. All'epoca  faceva parte di una cover band  chiamata "I Sorci Verdi" ... - ride - ed è stata lei a "introdurmi" nel mondo della musica, già quando avevo cinque o sei anni,  attraverso l'ascolto di artisti come Michael Jackson, Stevie Wonder, Al Jarreu... Il primo strumento che ho suonato è stato il pianoforte, poi mi sono avvicinato alla batteria, ed infine alle percussioni, prima le percussioni latine (afro-cubane) e poi le percussioni egiziane. Pensa che alcuni anni fa ho avuto la possibilità di suonare durante una cerimonia in onore di Moubarak, ex presidente egiziano, e in questa occasione ho scoperto un genere, un "tradizione" percussiva nuova, che ho poi scelto di esplorare meglio. 

Ci sono molte differenze tra i vari "tipi" di percussione?

Assolutamente. Ogni tipo di percussione prevede una tecnica specifica, un linguaggio differente, che si appoggia a tradizioni culturali e musicali distinte. La percussione latina si esprime al meglio nella musica latinoamericana (salsa, merengue...). Quella balcanica, che tra l'altro ha conosciuto la mia attenzione e il mio studio negli ultimi anni, prevede colori e ritmi diversi, analoga peculiarità, analoga originalità è prevista dalla percussione orientale... E' difficile che un percussionista sappia dedicarsi con uguale efficacia  a tutte le tradizioni esistenti, è normale che col tempo ci si debba specializzare in una direzione specifica anche se, come nel mio caso, l'amore per la musica ti porta ad interessarti ad uno strumento a tutto tondo...

E qual'è la tradizione in cui ti senti più a tuo agio, in cui ti sei specializzato di più?

La percussione in cui mi sono specializzato di più è quella delle Congas, suonate però in maniera un po' particolare, ovvero attraverso il colore e il ritmo del Funk...genere in cui adoro esprimermi grazie alla percussioni. Anche la tecnica che ho applicato al funk è originale, sono persino arrivato a utilizzare la chitarra in maniera percussiva, appoggiandola sulle gambe e suonandola come se fosse una percussione, con una resa sonora e ritmica davvero inedita. Alcuni brani suonati con questa tecnica sono finiti nella colonna sonora  del film "Il cosmo sul comò", di Aldo Giovanni e Giacomo. Certe sonorità rese attraverso questo modo di "percuotere" la chitarra accompagnano alcune scene del film, e la cosa mi rende particolarmente orgoglioso. Con questo tipo di percussione ho anche registrato alcuni dischi.

Quindi la tua tradizione di appartenenza è quella latina, cubana?

Esatto, anche se in realtà la percussione, il ritmo percussivo nasce in Africa e si sposta solo successivamente in Sud America, un continente che mi piacerebbe conoscere e esplorare anche fisicamente, non solo musicalmente...

Ti è mai capitato di accompagnare tua mamma in concerto?

Si è capitato. Ricordo una serata in cui abbiamo suonato solo cover, io alle percussioni e lei al pianoforte. E' stata davvero una delle più belle occasioni musicali della mia vita...

Qual'è l'insegnamento più importante che ti ha trasmesso tua mamma, a livello musicale?

Il concetto più importante su cui mia mamma ha sempre insistito, sia dal punto di vista musicale sia dal punto di vista umano, è quello dell'umiltà. Il complimento più piccolo, più timido, l'ultima considerazione dell'ultimo spettatore all'ultimo minuto della serata ti deve gratificare e ripagare più di qualsiasi compenso monetario, che per carità è fondamentale per un professionista. Però l'essere avvicinati da chi ti dice " stasera mi hai emozionato...mi hai trasmesso qualcosa" ripaga di qualsiasi sforzo, e ti infonde sensazioni che difficilmente il denaro è in grado di  offrire, e solo con l'umiltà puoi capire ed apprezzare questo genere di cose, questo genere di "ricompensa"...

E' stata molto critica tua mamma, nel percorso che hai intrapreso? Lo è anche attualmente?

Si, è stata ed è molto critica, è una persona coerente con le sue opinioni, per cui non manca mai di farmi conoscere il suo punto di vista, le sue considerazioni, così come non sono mai  mancati da parte sua anche i complimenti e le gratificazioni per ciò che ho fatto. E' una persona molto schietta, nel bene e nel male, ed è una delle persone più presenti nella mia vita, a livello di confronto musicale. Adesso però basta parlare di mia mamma se no passo per un mammone!!!! - grossa e grassa risata di coppia -

Beh, avere una mamma musicista credo che sia una fortuna, un privilegio...dato che in genere una mamma non sempre è in grado di parlare lo stesso linguaggio di un figlio...

Assolutamente, mia mamma mi ha sempre dato la possibilità di esprimermi...

Senti, ti sei fermato alle percussioni, oppure c'è un altro strumento a cui ti stai dedicando?

Attualmente sto suonando molto la batteria, uno strumento che ho recuperato dal mio passato musicale e che sto riproponendo in diverse situazioni. Alcuni anni fa ho avuto la possibilità di suonare con Beppe Dettori, un grandissimo cantante e musicista sardo, col quale suonavo batteria e percussioni insieme, e questa sorta di fusion ritmica che ho esplorato allora, mi ha accompagnato anche successivamente. 
Suono spesso con Capitan Ventosa (Luca Cassol) e la sua ventosa band, con cui facciamo serata in molti locali di Milano e con cui ho suonato a “Striscia la Domenica”, dove con Enzo Iacchetti ho recitato in alcune “gag” suonando la batteria... insomma, cerco costantemente di esprimermi su entrambi i fronti...


E dal punto di vista musicale, ti piacerebbe dedicarti ad altri frangenti, come quello della produzione, dell'arrangiamento... magari parallelamente all'aspetto strumentale?

Beh si. Con il mio amico Hernan Brando, e con Pino di Pietro, abbiamo creato il progetto Hotel Buenavida, prodotto dal mitico dj Joe T. Vannelli. Abbiamo suonato un disco latin in cui le ritmiche e i colori tipici della sonorità latinoamericana si sono cimentate con un sound più moderno, più glamour, che strizza l'occhio alla musica lounge, e questa è stata l'occasione di esprimermi anche come arrangiatore, come “creatore” di un sound, non solo come musicista. E l'ottimo riscontro di pubblico e radiofonico che abbiamo ottenuto, e che ha portato alcuni brani a fare parte di importanti compilations, come quella del Chiambretti Night, della Capannina, del Billionaire, mi ha spinto a volermi cimentare sempre di più con la fase creativa e produttiva di ciò che suono.
La musica per me è una soddisfazione sempre crescente, sempre in grado di offrire possibilità espressive nuove, sia che si suoni dal vivo, anche in contesti illustri come quello delle sfilate per la settimana della moda a cui abbiamo partecipato con gli Hotel Buenavida, sia che si lavori e si crei in studio.
Tutti i brani di questo progetto, che sono sostanzialmente cover, a parte due brani inediti, sono stati completamente riarrangiati, ridefiniti proprio nella fase di studio, in cui l'apporto e il gusto musicale di ciascuno, del percussionista, del cantante, come del resto del produttore musicale, hanno concorso a creare un “abito” musicale intorno a brani la cui semplice esecuzione tecnica, la cui semplice riproposta, non ne avrebbe fatto il successo che sta riscontrando. Ecco perché l'aspetto creativo è fondamentale in ciò che facciamo, anche se nasciamo principalmente come musicisti, come strumentisti.

Quanto conta nel tuo mestiere l'aspetto tecnico/strumentale, e quanto invece influiscono il gusto e il background musicale?

Sono fondamentali entrambi. La tecnica è l'abc di uno strumento, ma sono l'estro e la personalità a fare la differenza. Noi Italiani, che non abbiamo una tradizione percussiva importante alle spalle, abbiamo a disposizione diversi mondi, diverse tradizioni, di cui abbiamo parlato prima, e da cui ciascun musicista può attingere per prendere le caratteristiche e le sonorità che possono fare del proprio sound, un sound originale, personale. Quando suono in un disco, cerco sempre di mantenere e proporre il mio sound, il mio modo di suonare, che ho formato attraverso lo studio delle varie tradizioni e il gusto personale, che mi ha spinto, di ciascuna di esse, ad apprezzare, trarre e fare “mie” le caratteristiche che più sentivo vicine al mio mondo, al mio estro.

Ma si arriva mai ad un punto in cui si smette di studiare, di esplorare, e ci si può sentire “pronti”?

No, assolutamente. La tecnica e il repertorio vanno coltivati costantemente, se si vuole continuare ad esprimersi in maniera soddisfacente, specialmente nei lavori in studio, in cui il gusto e l'apporto personali sono fondamentali, ma in cui è altrettanto fondamentale la tecnica, che è d'obbligo se si vuole rispettare lo standard di precisione, di “timing” che la fase della registrazione prevede. E la tecnica deve sempre essere allenata. E' ovvio che una persona ci nasca con il groove, con il ritmo dentro, con la musicalità...però è con lo studio che tale talento si affina e può “uscire” al meglio...

E in Italia che spazio è dato alla percussione?

Ben poco...ben poco. E' ovvio che non ci si possa aspettare la stessa importanza che il mio strumento riveste nella tradizione latina, nei paesi del Sud America o a Cuba, però credo che anche in una tradizione musicale nostrana, la percussione meriterebbe più spazio, anche in generi inconsueti, perché è in grado di infondere sonorità e colori davvero particolari, è in grado di arricchire ulteriormente un sound che magari già di per sé è bello e interessante. Altri strumenti, per quanto belli e più conformi alla nostra tradizione, di fronte alla medesima “sfida” musicale, creerebbero magari un sound più corretto, più preciso...ma più piatto.

Quindi questa “latitanza” delle percussioni nella nostra tradizione musicale è il risultato di un determinato sviluppo culturale-musicale?

In linea di massima sì. Anche se ci sono artisti che hanno sempre coinvolto la percussione in un ambito sonoro in cui apparentemente essa non è indispensabile, come ad esempio Jovanotti, che ha sempre usato in maniera massiccia le percussioni e che ha avuto un grandissimo successo con un sound moderno, italiano ma “percussivo”. Anche un normalissimo e consueto pezzo pop, non necessariamente legato a una tradizione percussiva illustre come può essere quella latina, con la presenza anche solo di un semplice shaker, acquista a mio avviso una marcia in più.

Deduco quindi che la tua esperienza con la Corale Valla, con il gospel, specie in ambito sonoro, abbia dato credito ampiamente a questa tua posizione...ne parliamo?

La mia collaborazione è nata dall'amicizia con Francesco, il quale voleva introdurre la percussione nel sound gospel, nei dischi della Corale, nei suoi live, nella musica da lui creata e che a tale proposito mi ha coinvolto. Ricordo una sera in cui in macchina ascoltavamo brani gospel e nei quali ci si immaginava la presenza delle percussioni, e ci si diceva quanto quel sound ne sarebbe “uscito” migliorato. Da qui è nato il nostro rapporto musicale e soprattutto una rinnovata amicizia che ci porta a lavorare insieme ormai da parecchi anni.


Tu come vedi questo tipo di gospel contemporaneo, che strizza l'occhio al Funk?

Lo vedo come una cosa che mancava. Un fatto inedito ed estremamente moderno, dal punto di vista musicale, che ha decretato il successo dei dischi e dell'esperienza della Corale. Francesco ha cercato di contaminare, di sperimentare, non ha mai esitato ad esprimere la sua creatività, e questo si sente, nel sound creato, nella tipologia dei brani e dei live... creatività che ha reso la mia esperienza con i ragazzi un banco di sperimentazione costante, oltre che una bella occasione dal punto di vista umano.

Tu ti reputi una persona creativa?

Decisamente, sia sul piano musicale sia su quello umano. E' con la creatività che ci si spinge sempre oltre, che non ci si accontenta mai di quello che si ha o che si è fatto. E' creando, “osando” che si ottengono i risultati migliori. Facendo sempre le solite cose, rispettando sempre le convenzioni, le regole, le tradizioni...si finisce con l'annoiarsi. Invece le persone creative, nella vita come nell'arte, sono quelle che si divertono di più.

Tornando al gospel, che è tradizionalmente l'espressone musicale di una fede, tu che rapporto hai con Dio, con la fede?

Mi reputo una persona di fede, a mio modo. La figura di Gesù, in particolar modo, ha avuto molta importanza nella mia vita, per via della sua esperienza umana, storica, del suo straordinario insegnamento esistenziale, forse filosofico, più che per tutto quello che è legato all'aspetto religioso più stretto. La fede di ciascuno, espressa come ciascuno crede e ritiene più opportuno, è fondamentale in una società come la nostra, che specialmente di questi tempi si trova ad essere particolarmente messa alla prova. Avere fede, avere una fede, anche solo in noi stessi, è fondamentale per andare avanti in una realtà sempre più arida, sempre meno attenta alle belle cose della vita, come la musica, come lo stare insieme ad un amico per fare o anche solo ascoltare musica... e le nuove generazioni risentono molto di questa deriva, di questo impoverimento della fede, ed è magari la mancanza di fiducia nella musica, nel talento, nella possibilità di fare qualcosa nella vita, a spingere i nuovi giovani a fare sempre meno e a lottare sempre meno per cambiare le cose. Ecco, è la mancanza di fede e di fiducia nella vita la causa principale, a mio avviso, della crisi non solo economica ma anche umana che interessa oggi il Mondo.


Tu come giudichi il modo di fare musica in Italia, oggi?

In Italia purtroppo, nella musica come nel resto, è più importante l'apparenza della sostanza. Nei reality musicali, ad esempio, spopolano i “bellocci”, quelli che possono arrivare alle ragazzine, e ai quali non è richiesta la presenza di un talento particolare, di una eccezionalità. In realtà l'arte richiede ben altro, richiede fatica, richiede studio e applicazione, richiede una gavetta lunga parecchi anni, richiede sacrificio, concetto che alle nuove generazioni sta un po' stretto. Si ritiene che basti sapersi presentare nel modo giusto, con gli agganci giusti, per avere una carriera assicurata, un angolo di questo mondo. E la cosa è alquanto triste, e spero francamente che la situazione possa cambiare al più presto, con un ritorno alle piccole cose, alla qualità e al gusto del “fare musica” in maniera creativa e innovativa sul piano tecnico, ma in modo tradizionale sul piano “umano”, senza più questa attenzione esasperata alla superficialità, all'esteriorità delle cose, ricercata a discapito della vera sostanza.

Hai mai insegnato? Che rapporto hai con questo aspetto della musica?

Si ho insegnato, qualche anno fa. Ho poi preferito concentrarmi su altro, sull'aspetto live, sulla ricerca della tecnica, del suono. Ciascun musicista ha il proprio rapporto con la musica e con le sue molteplici sfaccettature - l'insegnamento è una di queste - e ciascuno finisce col prediligerne e seguirne una o talune in particolare, è inevitabile fare una scelta. Sicché anche se per il futuro non escludo niente, per ora preferisco dedicarmi solo alla musica suonata, creata.

Come vedi l'approccio alla musica nelle nuove generazioni?

Di questo ho un'idea piuttosto negativa... per quello che si ascolta in radio, nei club, che è poi lo specchio del gusto del pubblico, specialmente del pubblico giovane che compra e fruisce musica in modo massiccio. Non mi piace parecchia della musica che si fa e che si propone oggigiorno. La musica “vera” non si ascolta più. Può sembrare eccessivo, però per me la musica di qualità, la musica suonata e fatta con gusto è finita parecchio tempo fa, forse addirittura negli anni ottanta, e oggi sopravvive sotto forma di rarità. Forse perché sostanzialmente è cambiato il modo di ascoltare, di ricercare la musica. La si ascolta in macchina mentre si fa o si pensa ad altro, la si vuole come semplice sottofondo, come accompagnamento, e abbiamo disimparato ad ascoltarla e apprezzarla nella sua essenza. C'è sempre meno conoscenza, sempre meno ricerca della qualità, da parte della nuova generazione, e il mercato si è adeguato “abbassando” l'offerta al tipo di richiesta...

Questo vuol dire che non nascono più nuovi talenti...

No, di talenti ne nascono, ma stentano a potersi esprimere, ad avere un'opportunità, perché c'è sempre meno spazio, sono sempre meno le condizioni necessarie affinché il talento arrivi all'ascoltatore, e possa magari anche influenzarne ed educarne l'ascolto.

E quindi quale deve essere l'atteggiamento corretto per sopravvivere oggi in questo ambiente?

Bisogna cercare sempre di divertirsi, di andare avanti col sorriso, adeguandosi magari alle situazioni, al tipo di pubblico e di ascolto con cui ci si trova ad avere a che fare, ma senza perdere mai di vista la propria qualità, il rispetto per uno strumento, per un percorso che si è fatto. Ho sempre suonato pensando innanzitutto alla musica, a trasmettere un'emozione, prima ancora che al denaro percepito a fine serata o al contesto. Anche con poco, suonando in situazioni non sempre edificanti, si può comunque fare musica con coscienza, con dignità, mostrando alle nuove generazioni che è ancora possibile fare e proporre musica di qualità.

Qual'è il più grande insegnamento che ti ha dato la musica?

La presenza stessa della musica, è stato il suo più grande insegnamento. Anche nelle situazioni più difficili e pesanti, la musica fa parte di te, è in grado di far uscire le tue emozioni, le più belle come le più terribili. La musica è stata ed è una formidabile maniera per andare avanti e per non arrendersi mai alla tristezza e alle difficoltà. Questa consapevolezza, questa fiducia, è stata per me la più grande lezione che la musica mi ha impartito.

Qual'è il tuo obiettivo più grande?

Portare la mia musica a quante più persone possibili. Trasmettere a chi ascolta, il mio modo di intendere e concepire la musica, gli strumenti, le modalità espressive a cui mi dedico da più di diciotto anni. Continuare a suonare, con soddisfazione e gratificazione, ma sempre di più e davanti a sempre più pubblico.



matteo picco

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