giovedì 28 aprile 2011

Le nostre interviste: TONY GUERRIERI

Tony Guerrieri
Classe e signorilità: ecco cosa riaffiora alla mia mente quando ritorno indietro col pensiero a qualche settimana fa, al mio incontro con Tony Guerrieri, ad un momento in cui ho avuto ancora la preziosa possibilità di conoscere un artista, un gentleman della musica, di arricchirmi di un nuovo tassello di questo bel puzzle che si sta sempre più delineando, intervista dopo intervista. E tale ricchezza, la vorrei ancora condividere con Voi.


Tony, come nasce e si sviluppa il tuo rapporto con la Corale Lorenzo Valla?

Il rapporto con La Corale nasce dall'amicizia che si è creata con Francesco.
Parlando del più e del meno si è sviluppato un concetto che ci vede concordi: nella maggior parte dei cori “amatoriali” l'aspetto tecnico viene sempre penalizzato. Questo fa sì che i componenti del coro stesso, pur di accontentare le richieste del Direttore, cerchino di riprodurre sonorità che il più delle volte sono il frutto di sforzi immani, con conseguente arrivo alla fine delle prove senza voce. Ho trovato l'atteggiamento di Francesco umile e costruttivo, e da qui la richiesta di provare a lavorare insieme per seguire il Coro negli aspetti tecnico-vocali. Tengo a sottolineare che ciò che ha fatto Francesco, dovrebbero farlo tutti i direttori di cori amatoriali, in quanto con la voce non si scherza: una volta rovinata, non si può sostituire!

Che tipo di percorso didattico è in atto coi ragazzi del Coro?

Con i ragazzi, che approfitto per salutare anche da qui, siamo partiti dalla fisiologia dell'apparato fonatorio: in poche parole è come se avessimo studiato insieme il “libretto delle istruzioni” della propria gola, in modo da renderli più consapevoli di ciò che usano e si apprestano sempre meglio ad usare, e poi siamo passati alla pratica provando le principali emissioni, gli attacchi...fino a lavorare direttamente sul portamento e sulle intenzioni da dare ai vari pezzi. Un lavoro molto affascinante, ed è bellissimo sentire e vedere l'entusiasmo nei loro occhi, soprattutto quando avvertono anch'essi quando qualcosa cambia in positivo!


Qual'è il tuo consiglio per chi si vorrebbe accostare a questo genere musicale, vocale, che affonda la sua essenza nella spiritualità?

Il mio consiglio, soprattutto per chi lo fa a livello amatoriale, è quello di iniziare per passione e con passione, avendo però la pazienza di fare sempre qualche lezione di canto con i relativi esercizi, in modo da non finire le prove sempre con la voce affaticata, altrimenti la passione svanisce e si recrimina sempre sul fatto che si canta ciò che non è per le proprie possibilità. Cantare non è uno scherzo, a qualsiasi livello lo si faccia: è importante avere un minimo di conoscenza di ciò che ci si appresta a fare, dopodiché...via libera alla voce.

Veniamo a te... Quando hai capito che il canto poteva essere una vera e propria vocazione artistica e professionale?

Devo fare una premessa: la musica è sempre stata nella mia vita, sin da quando ero bimbo, allorché, a cinque o sei anni, giocavo a “fare la radio” coi dischi di casa. Poi crescendo rubavo i dischi ai miei amici che ne avevano di più; tra l'altro mio padre era un orchestrale e mio fratello suonava la chitarra. Abitando in un paese di mare, spesso mi ritrovavo nelle classiche “chitarrate da spiaggia”, in cui mio fratello suonava e io cantavo. Devo dire che però all'inizio ero più attratto dalla musica suonata da altri, piuttosto che cantata da me... ho fatto anche lo speaker radiofonico, per intenderci.. Quando mi sono trasferito a Varese, una sera mi hanno proposto di fare una “serata”, e da li è partito tutto. Ho avvertito un trasporto che non avevo mai avvertito prima, per nulla.

C'è stato un momento in cui hai avuto un riscontro da parte di qualcuno o qualcosa che ti ha fatto pensare “ok, questa è la mia strada” ?

No, anche perché all'epoca ero così presuntuoso che, constatando che il canto mi “veniva bene”, capivo da me, presuntuosamente appunto, che il canto fosse la mia strada. Certo, avevo un riscontro positivo da parte dal pubblico, ma direi che è nato tutto da un atto di presunzione e di sfacciataggine, da cui poi mi sono decisamente discostato, studiando il mio strumento e con l'umiltà di mettermi in discussione... cercando di volta in volta le conferme che fossi sulla strada giusta.

con Fiorello - W RADIO2

Veniamo, più nello specifico, alla tua ricca biografia, da cui ricordo, tra le moltissime esperienze, quella pluriennale come corista in Rai e vocal coach a Sanremo, l'apertura dei concerti di Brian Ferry... ma sono davvero innumerevoli : quale esperienza ti ha dato di più artisticamente e quale invece ti ha arricchito di più sul piano umano?

Mio papà diceva “ E' meglio essere l'ultimo dei professionisti che il primo dei dilettanti”... sicché a parte i primi anni di dura gavetta, di cui serbo un ricordo splendido, l'arricchimento più importante ha iniziato a subentrare quando ho fatto il così detto “salto” di qualità professionale, quando ho iniziato a collezionare esperienze importantissime sia sul piano umano sia su quello artistico. Forse quella più imprescindibile è stata l'incontro con i “Sottosopra”, Paolo Botteschi, Pino Di Pietro, Chicco Gussoni, Nano Orsi e Lorenzo Poli. Costoro sono stati e sono per me fondamentali, mi hanno insegnato e fatto capire una infinità di cose, e senza di loro non avrei potuto affrontare quello che poi è venuto, come ad esempio l'esperienza in Rai. Ecco i ragazzi mi hanno fatto fare un bel “bagno di umiltà”, facendomi capire che cosa significhi essere bravi, senza sbandierarlo in giro, ma dimostrandolo quando c'è da dimostrarlo. I Sottosopra hanno significato, per me, la possibilità di coniugare al meglio l'aspetto umano con quello artistico, sono musicisti straordinari, sono la mia band di “lusso”, rappresentano un enorme privilegio artistico, ma sono anche i miei migliori amici, e tutt'ora so di poterVi contare sempre.

con i Sottosopra

Marzullo moment: sono il carattere e la personalità a forgiare un artista, o è l'arte a plasmare il carattere di una persona?

In base alla mia esperienza personale, il carattere mi ha aiutato ad avere e mantenere la tenacia di perseguire il mio sogno. L'arte, anche se a piccole dosi, mi ha sempre dato la forza di credere in ciò che faccio. Tra Arte e personalità c'è un rapporto di scambio reciproco. Credo che l'importante sia capire quando sei sulla strada giusta e quando non lo sei, o quando il treno è semplicemente passato, e in questo è il carattere ad essere determinante.

Quali sono stati e quali sono i tuoi riferimenti artistici principali ?

Io sono cresciuto a pane e Beatles... poi la mia fame di sapere mi ha spronato a fagocitare ogni tipo di musica, ne approfitto per scusarmi con tutti coloro a cui ho “rubato” dischi. Invece dal punto di vista vocale, ce ne sono tanti, seppur il mio modello più importante sia Stevie Wonder. A mio avviso, comunque, l'insegnamento e il riferimento provengono da chiunque canti bene. Per “cantare bene”, però, non alludo solo alla tecnica, che ovviamente ci deve essere. Io mi riferisco anche a quel qualcosa che non tutti i cantanti sanno trasmettere, perché non è facile farlo, a prescindere dalla bravura “estetica”. La voce è strettamente connessa all'emotività, alla vita interiore, fatta di emozioni, esperienze vissute... che una persona si porta dentro e che non è facile infondere nel canto. Ci vuole una qualità che può essere innata, ma che si può anche acquisire, cercando, nei tre minuti in cui si esegue un brano, di porre sempre se stessi, la propria anima. Ecco questo rappresenta, per chi ascolta e “impara”, un riferimento artistico ed un modello fondamentali.

Lavorando con grossi nomi, ti è mai capitato di lavorare con personaggi di cui avevi una certa immagine, una certa opinione, e che magari erano anche tuoi modelli di riferimento, che poi però si sono rivelati una delusione alla prova dei fatti?

Guarda, è capitato, però preferisco non fare nomi, anche perché poi se ci si rincontra... sai, questo lavoro è fatto anche di diplomazia. E' capitato e capita, non solo ad alti livelli, ma anche nel piccolo, di incontrare persone che sembrano brave, ma che poi scopri essere poca sostanza e molta apparenza. Sta a te fare una scrematura tra chi è veramente bravo, e chi crede solo di esserlo.

In questo senso ti porgo una domanda che è ricorrente nelle mie interviste di genere: si può essere bravi artisti ma persone mediocri?

No, anche se poi possiamo discutere su cosa si intende per “arte” e su quanto, di ciò che una persona mostra di sé, coincida con la sua vera essenza. Ci sono persone, anche celebri magari, che hanno però grosse difficoltà a rapportarsi agli altri, perché c'è una chiusura o una timidezza di fondo che le fa apparire mediocri sul piano umano. Persone che magari riescono a essere vere, autentiche, solo quando si esibiscono, e di cui si scopre la vera pregevolezza solo sul palco, e queste sono a mio avviso la maggior parte. Poi invece ci sono personaggi mediocri sotto il profilo umano e che rimangono tali anche sotto quello caratteriale.

Qual'è il tuo prossimo obiettivo, la meta artistica più vicina, visto che non si arriva mai e non si smette mai di porsi obiettivi?

Mi piacerebbe tantissimo riuscire a fare ancora quelle esperienze che, da musicista, ti capita di fare poche volte nella vita...sai, essendo scaramantico rimango sul vago! Quando ho iniziato, volevo diventare il cantante più bravo e famoso del mondo, poi crescendo ho cambiato visione, e ho capito che si può cantare e fare musica in moltissimi modi, a prescindere dalla fama, e ricevere moltissime soddisfazioni. Fare il corista, ad esempio, non è affatto degradante sul piano artistico, specialmente quando lo si fa ad altissimi livelli, e ti regala un'enorme soddisfazione, che si esprime nella consapevolezza di aver fatto un lavoro di squadra, assieme ai musicisti, all'artista solista, al direttore d'orchestra, che magari alla fine di un concerto si rivolge a te con quella gratitudine che vale molto più di un riflettore. Ecco, mi pongo come obiettivo quello di continuare a vivere questo tipo di appagamento, artistico ed umano.

con la Corale Valla on Stage

Non ti capita mai di pensare, quando sei sul palco a fare i cori a chi magari vale meno di te, “ cavoli, ci dovrei essere io al suo posto...”?

Questo è il pensiero di molti coristi, non perché lo si viva come frustrazione, ma perché il corista vive una condizione un po' particolare: a differenza di molti solisti, ha una marcia in più. Il solista è difficile che riesca a fare bene il corista, mentre il corista può fare tranquillamente anche il solista, è più completo, ha un visione della musica più aperta . E' ovvio che, quindi, quando da corista ti capita di fare da supporto a chi non vale nulla, arrivi a provare un senso di rivalsa. Ma la si deve prendere con intelligenza, con filosofia, senza rabbia o frustrazione, perché spesso nella vita le situazioni dipendono dal caso, non solo dal merito o demerito di chi le vive. Oggi è capitato a me di stare nelle “retrovie”, domani magari capita a te. L'importante è fare bene, dal punto di vista artistico, qualunque lavoro ci si ritrovi ad affrontare, in qualunque posizione.

Cosa vuol dire fare musica oggi in Italia? (altra domanda ricorrente in questo spazio)

Fare musica oggi in Italia è davvero mortificante, perché viviamo in un paese che non tutela, non protegge e non valorizza l'arte. Vivi in una realtà in cui il gestore di un locale, se ti proponi per una serata, ti chiede quanta gente gli porti; un paese dove c'è la moda delle tribute band, dell'emulazione del “già fatto”, della non originalità, con la conseguenza che chi invece propone cose proprie, stenta nel farlo e incontra la refrattarietà di molti addetti ai lavori. E questo è davvero un peccato, se pensi che all'estero, invece, siamo apprezzati proprio per il nostro bel canto, per la nostra peculiarità, originalità. Mi è capitato di fare all'estero serate con il tutto esaurito, in luoghi in cui si tributa alla musica e alla cultura in generale molto più rispetto, molta più attenzione, e quindi molto più sostentamento. Cosa che ovviamente si riflette positivamente sull'offerta che poi gli artisti sono in grado di dare, in termini di qualità e numeri. Qui invece ti capita di suonare in posti in cui ti devi cambiare in bagno, ingaggiato da chi magari guarda solo a quante persone ci sono nel locale quella sera...

Essendo così duro, questo mondo, questo ambito professionale, come si può conciliare una vita “d'arte” con le esigenze della quotidianità, di una famiglia da mantenere ad esempio?

Sai, una volta che si entra in un determinato “giro”, si ha più possibilità di fare musica, arte, in maniera continuativa e soddisfacente dal punto di vista economico. Bisogna però continuare a studiare e migliorarsi proprio per rimanere nel “giro” e continuare a essere competitivi. In questo senso bisogna variare la propria attività, accostare all'aspetto artistico, che ha il suo linguaggio e le sue esigenze, quello più commerciale, lavorativo, ad esempio con l'insegnamento, che ha altri ritmi e magari altrettante soddisfazioni, e che magari ti consente di occuparti meglio, dal punto di vista economico per lo meno, della tua famiglia. Bisogna trovare un equilibrio, una via di mezzo che ti consenta di affrontare la tua vita privata e quella artistica senza che l'una vada a discapito dell'altra, in modo che entrambi gli aspetti godano della stessa attenzione e dello stesso impegno.

Per quanto concerne l'insegnamento, che occupa una parte molto importante della tua vita, qual'è lo stato dell'insegnamento e dell'apprendimento oggi in Italia? C'è stata un'evoluzione o un'involuzione rispetto agli anni passati?

In Italia c'è una grossa diatriba tra il così detto canto pop, e il canto classico, e relativi ambiti di insegnamento, diatriba alimentata molto dal mondo classico, che tende a porre sempre il proprio linguaggio come più “alto” ed importante rispetto ad altri, considerati un po' l'espressione del mondo delle “canzonette”. Per fortuna ultimamente, vista l'affermazione dei nuovi linguaggi e l'apporto di chi la musica la studia dal “di dentro”, le cose stanno cambiando e ogni ambito vocale sta riaffermando e riguadagnando la propria specificità e la propria importanza. Lo studio della tecnica e dello strumento “voce”, a cui il professor Franco Fussi, ad esempio, ha dato un impulso enorme, stanno contribuendo ad affermare il concetto che non esiste un canto superiore e uno minore, uno stile migliore e uno peggiore, ma semplicemente stili diversi, diversi colori e diversi codici, tutti parimenti dignitosi e meritevoli di essere studiati e insegnati.


E questo cambiamento ha un'incidenza sul mondo dell'insegnamento, su quelle realtà scolastiche che sono molto ancorate al mondo della tradizione?

Fortunatamente si, il cambiamento comincia a prendere forma. E' però un cammino molto lento, soprattutto perché ci sono molti sedicenti insegnanti che, al di la dell'aderenza ad una tradizione piuttosto che ad un'altra, si improvvisano tali solo per “portare a casa la pagnotta”, che non sono aggiornati, preparati adeguatamente sulle nuove tecniche e metodologie, e non capiscono che la voce è uno strumento prezioso, che una volta rovinato, ripeto come all'inizio, non si riprende più.

Tu come ti poni nei confronti dell'argomento reality musicale, che negli ultimi anni si è inserito a forza con la sua pseudo didattica nel mondo del canto e dell'insegnamento?

Molto male. Si sta rovinando una intera generazione di cantanti. Sai quante volte mi capita, nel mio ambito di insegnamento, di rapportarmi a ragazzi e ragazzini che hanno l'obiettivo del reality, che ne hanno assorbito tutto il linguaggio e la mediocrità? Moltissime. E faccio loro capire che la musica, il canto e l'insegnamento sono ben altro rispetto alla propaganda della televisione, un ambito in cui si spacciano per insegnanti persone che insegnanti non sono, in cui si usano termini e si vantano meriti inappropriati, in cui subentra solo l'argomento denaro e si accettano determinate condizioni che valgono solo per quell'ambito, e nei confronti delle quali io sono estremamente critico.

Sono più i cattivi maestri o i cattivi allievi?

Questo è Marzullo... -ride- Guarda, io do sempre la colpa al maestro. Tu puoi avere anche un cattivo allievo, ma sta alla tua bravura e alla tua responsabilità farlo diventare bravo, altrimenti gli anni e l'esperienza a cosa servono?

Che cosa vorresti che un allievo si ricordasse di più dell'esperienza lavorativa con te, cosa ti piacerebbe che imparasse di più da te?

Mi piacerebbe che ricordasse di aver scoperto la gioia del canto, senza essersi preso troppo sul serio, ma essendosi divertito molto, perché il canto deve essere soprattutto gioia e divertimento, che tu lo faccia ad un karaoke o in un teatro prestigioso... l'importante è che un allievo trovi la capacità e la gioia di essere sempre se stesso, e come dicevo sopra, essere se stessi per tre minuti e mezzo non è facile...

E invece che cosa vorresti che si ricordasse di più di te, umanamente?

Vorrei che si ricordasse che sono una brava persona...il resto non mi interessa.

E tu lo sei?

Beh, non lo devo dire io... non puoi accontentare tutti, non puoi piacere a tutti, sicuramente sto sullo stomaco a qualcuno....l'importante è che in generale si ricordi che non sono poi tanto male....


matteo picco