giovedì 2 maggio 2013

Le nostre interviste - ANDRES VILLANI


Andres Villani

Andres on stage al concerto Live in Arona della Corale Valla

Sassofonista, flautista, jazzista, insegnante... Andres Villani è uno di quei musicisti, uomini d'arte e di cultura che lasciano costantemente un'impronta nella contemporaneità, qualunque cosa facciano, e per i quali la clonazione sarebbe utile ed anche auspicabile. Fintanto che ce n'è uno solo, però, vediamo di approfittarne e di conoscerlo meglio.

Andres, com'è nato e come si è sviluppato il tuo rapporto con la Corale Valla?

Non ricordo esattamente l'anno in cui è iniziato il rapporto, ne sono passati parecchi. Ricordo che Francesco mi fu presentato in occasione di un mio concerto a Pavia, una sera in cui mi venne a vedere assieme ad amici in comune. Lo conoscevo di nome, e conoscevo anche il Coro, dato che già all'epoca Francesco aveva iniziato a collaborare con alcuni musicisti di Pavia, che mi avevano parlato molto bene di questa formazione corale e della sua interazione con con altri generi musicali e con una bella produzione, che con gli anni è diventata via via sempre più grossa... Iniziai quindi a collaborare come sassofonista alla registrazione di un loro disco, a cui poi sono seguiti anche vari concerti.

Quindi mi pare di capire che ti ha colpito fin da subito questo tipo di Gospel estremamente contemporaneo, che rappresenta un po' un unicum, sicuramente per Pavia e forse anche per l'Italia...

Assolutamente. A livello musicale è un Gospel molto ricco, con una componente funky molto forte, che a me personalmente piace moltissimo, perché è estremamente coinvolgente, specie laddove si coniuga così bene con la parte del cantato... Direi forse che chiamarlo ancora Gospel e basta, è riduttivo...

E' uno spettacolo vero e proprio....

Uno spettacolo musicale davvero eccezionale, di cui, ripeto, colpisce soprattutto la ricchezza di presenze: un aspetto corale fortissimo, di grande impatto, musicisti di prim'ordine, voci soliste fuoriclasse...insomma, non se ne trovano di simili tanto facilmente. A Pavia di cori gospel ce ne saranno anche tre o quattro, ma che rimangono ad un livello che sta un po' a cavallo tra l'amatoriale e l'essenziale, con tutto il rispetto. La Corale ha alzato decisamente il livello, e con gli anni è diventata un qualche cosa di totalmente diverso e superiore rispetto a formazioni e progetti analoghi.

Valla Reunion - 2010

La tua esperienza nel mondo musicale, italiano ed internazionale, è davvero vastissima. Che cosa ha influito maggiormente sulla tua formazione?

La famiglia, ovvero il punto di partenza della mia esperienza e della mia formazione. Mio papà era musicista ed era anche il mio insegnante, per cui specie all'inizio la musica è stata un po' un obbligo, per quanto implicito. Ho iniziato a cinque anni con le lezioni di violino, e poi mio papà mi fece avvicinare al flauto, che è il primo strumento con cui è iniziato uno studio musicale serio. Verso i tredici, quattordici anni, facendo i primi saggi, le prime piccole esibizioni, la musica ha iniziato a piacermi sul serio. Sai, sei un ragazzino, vedi che la gente ti ascolta e ti apprezza, che le ragazzine cominciano a guardarti in maniera diversa, e in più ti accorgi che le note più o meno escono bene... la passione alla fine è scoppiata. Tra l' altro mio papà mi dava lezioni a scuola, in classe, per cui mentre studiavo e suonavo, avevo anche la possibilità di conoscere ragazzi della mia età, di farmi nuovi amici, e quindi è nata subito anche la voglia di fare parte di qualche complesso, di qualche band con cui mettermi alla prova. Senz'altro la musica classica è stata, specie all'inizio, il mio ambito di riferimento. Volevo fare il musicista classico e rimanere solo in quel mondo. Poi però le esperienze e le conoscenze più disparate mi hanno portato ad interessarmi anche ad altro, al jazz e al sassofono, a cui mi sono poi dedicato successivamente.

Quindi tu nasci come flautista, giusto?

Si, il sassofono è entrato nella mia vita verso i vent'anni. E quando ho iniziato con il sax, ho dovuto un po' accantonare il flauto, anche perché un nuovo strumento, piuttosto complesso tra l'altro, richiedeva e richiede uno studio pressoché totale. Negli ultimi anni ho cercato di riprendere in mano anche il flauto e di reintegrarlo nella mia attività.

Nel linguaggio di un jazzista, perché tu sei anche un musicista jazz, conta di più la tecnica, la padronanza di uno strumento, oppure l'esperienza, il contatto con le proprie emozioni, con altri musicisti ed esperienze che possono costituire una sorta di fonte di ispirazione tematica? Sai, te lo chiedo perché il jazz è visto un po' come una terra di “anarchia”, e quando si assiste a un'improvvisazione jazz, ci si chiede un po' se in quei momenti fortemente ispirati l' “improvvisatore” pensi di più alle note che esegue o a qualcos'altro...

Si, ho capito cosa intendi. Senza tecnica, non si va da nessuna parte. Un musicista di talento, se studia e, oltre al proprio mondo, esplora anche la tecnica, diventa un fuori classe. Un musicista senza talento, se studia ostinatamente è comunque capace di raggiungere buoni risultati. Ma un musicista di talento che non studia e rimane sempre dov'è, sarà un musicista con grosse pecche, anzi, uno spreco di talento, un'occasione mancata. Lo studio è fondamentale. E' il punto di partenza per formare il tuo linguaggio. Quando poi hai padronanza del tuo strumento, delle scale, della teoria nel complesso e ti senti autonomo, a livello tecnico, sei in grado di dedicarti maggiormente al gusto del “suonare”, all'ispirazione che ne può derivare, alla maniera per coinvolgere ed esprimere la tua anima. Se non sai quali note suonano bene e quali suonano male, se non sai come costruire una melodia, e come muoverti al suo interno...non saprai mai improvvisare. Puoi avere fortuna, e sperare che durante l'esibizione tu riesca ad andare a parare da qualche parte, ma suonare bene, a mio avviso, non significa questo, non significa avere fortuna. 

Quindi si può dire che all'”anarchia” ci si arriva dopo, prima si deve passare dalle regole...

Esatto. C'era un musicista, di cui non ricordo bene l'identità, che diceva: “per suonare bene il jazz devi sapere prima tutto, e poi dimenticarlo”... Ed è così. Se prima non conosci bene il tuo mondo, non puoi scegliere che cosa esprimere, che cosa comunicare di questo mondo. Ma la cosa vale un po' in tutti i campi. La conoscenza dello strumento è basilare, se si vuole poi sviluppare un proprio linguaggio autonomo.

E' stato difficile crearti il tuo spazio? Mi spiego: suonando il flauto e poi il sax, è stata dura costruire una carriera, e quindi un'identità musicale, in un mondo in cui forse la fanno un po' da padroni strumenti più commerciali, più... diciamo “da battaglia”, in quanto più facilmente utilizzabili ?

Pavia, Castello Visconteo - 2006

Beh... i miei sono strumenti che un po' di mercato, per così dire, te lo precludono. Nel senso che già per quanto concerne le turnè di musica pop-rock, è difficile che sax o flauto abbiano spazio e possibilità di utilizzo. Forse De Andrè e Fossati sono le eccezioni più importanti. Però c'è da dire che, live a parte, hai la possibilità di lavorare in molti più campi. Puoi suonare in un'orchestra classica come in un quartetto, in un complesso jazz, in televisione... Forse il chitarrista ha meno occasioni di lavoro, meno quantità e varietà di situazioni in cui suonare, ma in quelle in cui suona, suona molto e per mille artisti. Il sassofonista, e ancora di più il flautista, possono variare di più la tipologia di ingaggi, ma sono costretti a “settorializzarsi “ di più.

Appartenendo ad un genere un po' più elitario e meno commerciale, credi che i tuoi strumenti abbiano retto meglio alla crisi del mercato musicale, specie di quello più commerciale?

No. La crisi del mercato discografico ha colpito tutti e limitato il lavoro di tutti, anche dei più grandi artisti. Oramai un disco e una produzione, che coinvolge strumenti anche più particolari come il mio, hanno budget molto più limitati rispetto a prima, e servono solo per fare pubblicità all'artista e a far vendere più concerti. E questo si ripercuote sulla scelta dei musicisti e sulla tipologia di strumenti che è consentito o meno coinvolgere. Questo vale specialmente per l' Italia. All'estero la situazione è un po' diversa. Ad esempio io suono in un complesso jazz, e posso dirti che dalla Svizzera alla Scandinavia per il jazz c'è ancora un mercato molto vasto, ci sono centinaia di festival jazz in cui si può ancora suonare molto, facendo musica di qualità e divertendosi. Ti capita di ritrovarti a suonare in un paesino di cinquemila abitanti, al cui festival vengono però chiamati a suonare cinquanta o sessanta complessi, per cui tu cammini per le strade e trovi decine di palchi su cui a ogni ora si suona e ci si diverte. Se ci si da da fare, si riesce ancora a suonare, bisogna essere molto intraprendenti.

Tu intendi all'estero o anche qui?

Forse anche qui. Certo, la situazione è radicalmente cambiata. Però sopperendo alla mancanza di contatti “spontanei”, con più intraprendenza, più perseveranza, fatta magari di mail, di telefonate, di tante pubbliche relazioni, alla fine dell'anno riesci comunque ad annoverare nel bilancio delle esperienze trenta, trentacinque concerti belli, suonati bene e con soddisfazione.

Secondo te perché all'estero la situazione è diversa? C'è una crisi meno mordente o c'è un sostanziale differenza culturale rispetto a noi?

Io credo che ci siano forti differenze culturali. Sai, benché siamo in Italia, che è la patria della musica classica, e in cui comunque la cultura ha rivestito negli anni un ruolo fondamentale, otto ragazzini su dieci non sono mai andati a teatro, ad un concerto di musica classica, ad un concerto jazz... e non hanno nemmeno l'occasione di ascoltarla in televisione. Ascoltano la musica più commerciale. Allora come puoi pretendere di organizzare un festival di musica jazz anni venti, se la gente non sa nemmeno di cosa stai parlando? All'estero c'è un approccio diverso alla musica e alla cultura. I ragazzini non solo vanno a scuola di musica, ma vanno anche a teatro, vengono spronati e stimolati dai genitori a coltivare anche altri interessi e passioni. Anche la musica suonata nei locali riceve più attenzione, più ascolto, le persone escono e vanno in un determinato contesto apposta per ascoltare una data band, di un dato genere musicale. Mi ricordo che ad esempio a Parigi, dove sono stato per un mese abbondante, e in cui ho suonato in un teatro, ci venivano a vedere le famiglie intere, coi bimbi e con i sacchetti di McDonald...

Che cosa si dovrebbe fare anche qui, per risvegliare l'attenzione della gente verso la musica? Puntare di più sull'insegnamento, sulla scuola?

Ma, la scuola non è messa malissimo, nel senso che tra licei musicali e corsi vari, lo spazio per l'insegnamento della musica c'è. Sono i soldi che mancano, nel senso che nonostante ci sia la volontà di improntare programmi di insegnamento, la mancanza di fondi o l'utilizzo sbagliato dei fondi fa si che no ci sia la strumentazione, o che quella che c'è sia talmente obsoleta che non riesci a farci nulla, perché hai un computer senza programmi, hai una tastiera che da suoni talmente brutti che non la compreresti nemmeno a tuo figlio di tre anni, non c'è possibilità di amplificare un band e fare esibizioni dal vivo, saggi... Bisognerebbe investire di più e meglio. Scuola a parte, le difficoltà del fare e proporre musica pervadono oramai ogni ambito. I concerti sono diventati elitari perché costano troppo. L'Aida all'Arena di Verona è un salasso, ed è proibitiva per quasi tutti, per citare un esempio. Si suona di meno, si guadagna di meno, e si fa sempre suonare gli stessi musicisti. Quei pochi che investono e organizzano oramai vogliono andare sul sicuro, e chiamano sempre i soliti musicisti più o meno conosciuti che bene o male portano sempre gente. E quindi come puoi pretendere che i musicisti giovani e sconosciuti si facciano un nome, possano cresce e migliorare l'offerta della musica dal vivo? Bisognerebbe partire da situazioni ed eventi più piccoli, cercare di far suonare più gente, ed iniziare a cambiare a livello culturale l'approccio della persone alla musica, stimolando la voglia all'ascolto, e quindi anche allo studio e alla partecipazione.

Forse la così detta musica elitaria, all'estero è meno elitaria...

Sicuramente, ma il calcolo è presto fatto: a Roma ci saranno un centinaio di teatri, anzi, forse non arrivi nemmeno a cento; a Parigi ce ne sono seicento, e solo questo la dice lunga.

Valla Reunion - 2010

Anche l'insegnamento riveste un ruolo importante nella tua vita musicale, giusto?

Si, diciamo che oltre ad essere un'esperienza formativa anche per me stesso, l'insegnamento costituisce anche un certezza economica in più, che mi ha permesso e mi permette di avere un'entrata costante, con cui scegliere con maggiore tranquillità e attenzione alla qualità, i progetti che mi coinvolgono come musicista. E poi devo dire che anche a livello personale le soddisfazioni non mancano. Ho avuto alcuni allievi che hanno proseguito e si sono anche fatti un nome. Se riesci a inculcare la passione per la musica, la voglia di suonare in un ragazzino che poi magari prosegue, si iscrive a un conservatorio, riesce poi a vivere di musica e ti riconosce come in buona parte responsabile per tutto ciò, beh... la soddisfazione è davvero tanta.

Come è cambiato negli anni l'approccio dei ragazzi all'insegnamento e alla musica in generale?

Guarda, dipende dall'età. Per quanto concerne i ragazzi di diciassette, diciotto anni, che sono già quasi adulti, l'approccio non è cambiato molto. Sono ragazzi che vengono a lezione già con un background musicale formato, hanno ascoltato molta musica, hanno già parecchie idee ed obiettivi, vivono magari già di musica, e a te spetta il compito di indirizzarli, guidarli attraverso la formazione tecnica, l'insegnamento. La vera differenza rispetto al passato, rispetto ad esempio a quando io ho iniziato a studiare, la esprimono i ragazzini piccoli, riguarda cioè l'approccio dei giovanissimi, per i quali la musica è solo quella che esce dalla scatolina tascabile. Esiste solo ciò che esce dal lettore mp3, e quindi ti rendi conto di come questi tredicenni abbiano un rapporto quasi “tribale” con la musica. Si interessano a quello che va per la maggiore, che canticchiano i coetanei, se lo scaricano, e dopo qualche tempo si stufano e passano ad altro, senza nemmeno chiedersi che cosa ci sia dietro quello che ascoltano, e quello che ascoltano è spesso terribile, si fa persino fatica a chiamarla musica. Ci sono canzoni che sono solo un'accozzaglia di suoni, di rumori, oppure ti capita di imbatterti in brani che si potrebbero definire atonali, ma che poi ti rendi conto che tali non sono, che sono solo errori di chi non è in grado di capire quali accordi stiano bene insieme. Questo è ciò con cui si confrontano i ragazzini di oggi e che un insegnante deve scardinare.

Quindi il ragazzino che si presenta da te per studiare il flauto o il sassofono è una mosca bianca? Una rarità?

E' sempre più raro che l'interesse di un ragazzino per la musica abbia un seguito. Ti faccio un esempio. Se durante la presentazione di una scuola civica alle medie, io facessi ascoltare a una platea di ragazzini “mister saxo beat”, con una bella componente di dance e house music, un bel po' di antenne si alzerebbero. Se poi io prendessi un sax e con alcuni accorgimenti facessi provare a un ragazzino a soffiarci dentro e a emettere qualche nota, il ragazzino e magari pure alcuni amici il giorno dopo si iscriverebbero al mio corso. Il problema è che dopo due settimane si stufano e mollano. Quando invece trovi la persona che persevera e finisce con l'appassionarsi, hai un terreno fertile da coltivare. Puoi davvero formare il gusto di una ragazzo fin dalle fondamenta, e sperare che un giorno possa dare il suo contributo, piccolo o grande che sia, alla musica. La musica è bella, che sia classica, funky, jazz, pop...se è fatta bene rimane ed è in grado di attrarre le persone, e anche i futuri musicisti 

Se le tua figlie ti dicessero “papà vogliamo fare le musiciste”?

A sarei felicissimo, anzi, le sprono tutti i giorni... sono loro che non vogliono!!!
Io penso che se una donna diventasse musicista, e riuscisse a combinare l'attività live con l'insegnamento, potrebbe tranquillamente vivere di musica, e direi anche vivere felicemente.
Vivere facendo il musicista è possibile, dipende dai tuoi obiettivi e dal tuo modo di intendere questo mestiere, questa arte.

Qual'è l'emozione più grande che ti ha dato la musica?

Me ne ha date tante... forse l'emozione più grande sta proprio nella gioia, nel senso di soddisfazione che avverti quando finisci di suonare, una sera, e senti e sai di aver suonato bene. Lo stare sul palco assieme ad atri musicisti, fare ciascuno la propria parte ed “arrivare” a chi è lì per ascoltarti, mi infonde una sensazione che è quasi di benessere fisico, e che difficilmente potrei provare in altri ambiti. E poi la musica mi ha regalato tante volte l'emozione di trovare nuovi amici. Quando suono con un musicista in due o tre occasioni, è facile che avverta per costui quell'affetto e quella stima che in genere si prova per gli amici di vecchia data. La musica ti porta a godere della presenza e dell'amicizia di altri esserei umani che hanno un vissuto simile al tuo, hanno esperienze simili da condividere, una stessa passione intorno a cui costruire un dialogo, uno scambio di idee, un progetto per il futuro.

Grazie

Andres con Nicola Oliva, Francesco Mocchi e Dario Tanghetti
Live in Arona 2012

matteo picco

mercoledì 20 marzo 2013

X FACTOR 7


Apertura dei provini per la prossima edizione di X Factor in onda su Sky.

Partono i casting per partecipare alla settima edizione di X Factor. Il talent Sky per cantanti e gruppi sta tornando e riprende la ricerca dei migliori talenti vocali d’Italia
L’età minima per partecipare al programma è 16 anni già compiuti.
Le categorie in gara sono:
  • Maschi under 25
  • Femmine under 25
  • Over 25
  • Gruppi vocali
 
Se hai un'età compresa tra i 16 e 18 anni puoi iscriverti chiamando il numero 0423.402300.
Se invece sei maggiorenne puoi chiamare comunque il numero 0423.402300 o iscriverti direttamente sul sito ufficiale www.factor.sky.it.

I provini sono gratuiti e questi sono gli unici semplici canali da utilizzare per iscriversi.
 

lunedì 18 febbraio 2013

Le nostre interviste - NICOLA OLIVA

Nicola Oliva


Questa è una della poche occasioni in cui una presentazione è davvero superflua. Per presentare un grande musicista ed un amico, non servono chiose introduttive, riferimenti o sunti biografici e formalismi vari...

Basta la voglia e il piacere di ascoltare le sue parole.


Linda, Ornella Vanoni, Mario Lavezzi, Laura Pausini... negli ultimi anni la tua carriera ha conosciuto una vera e propria impennata. Ti va di provare a fare qualche bilancio?

Il periodo in cui ho suonato con Linda, ha rappresentato per me la prima occasione in cui mi sono reso conto, giorno per giorno, che stavo finalmente svolgendo una professione. Suonavo già da parecchi tempo, mi ero trasferito da circa due anni dall'Abruzzo, e frequentavo ancora il CPM di Milano, scuola a cui spesso erano invitati musicisti celebri per suonare con noi allievi e prendere parte, per qualche ora, alla nostra esperienza formativa... ricordo Ron ed Elisa, ad esempio, per citarne alcuni. Per me, per noi, era ovviamente motivo di studio e preparazione ma anche di grande emozione, e ci si apprestava a questi “incontri” come a veri e propri concerti, come a imperdibili occasioni di confronto col mondo degli artisti, dei professionisti. Linda volle fare un casting presso la scuola per formare la sua band, feci il provino e fui preso per accompagnarla in tour. Abbiamo suonato insieme per cinque anni, anni bellissimi in cui ho lavorato con una grande artista, forse non molto conosciuta, ma di prim'ordine, con cui è facilissimo suonare qualsiasi genere. La dimensione del tour e della band era “familiare”, si viaggiava, si stava insieme, tappa dopo tappa, si viveva a stretto contatto... e per la prima volta mi sono reso conto che con la chitarra potevo non solo vivere, ma anche mantenermi ed esprimermi a livello lavorativo...

Poi c'è stato una salto, una... evoluzione, giusto?

Si, allorché ho conosciuto Ornella Vanoni e ne sono diventato il chitarrista. Anche in quell'occasione feci un provino, grazie all'intercessione di Mario Lavezzi con cui avevo collaborato per alcuni lavori in studio. Con Ornella sono entrato in un contesto illustre, in cui mi veniva quasi da muovermi in punta di piedi, perché erano cambiate le dinamiche, suonavo con un mito della canzone italiana, facevo concerti in teatri e luoghi prestigiosi, insomma suonavo e ho suonato davvero ad altissimo livello.
E' stata una fortissima emozione anche dal punto di vista umano, poiché ho iniziato a lavorare con una donna che non solo è una grande artista, ma anche una parte della nostra storia che tutti conoscono e alla quale ho sempre guardato quasi con riverenza. Anche il modo di suonare, sul piano tecnico, si è evoluto in una chiave di maggiore professionalità e prestigio... non so, mi presentavo alle prove e trovavo già la strumentazione montata e mi dovevo solo occupare della musica, potevo “entrare” con più tranquillità e facilità nello spirito dei una esecuzione. E' stato un grandissimo cambiamento.

E quindi è arrivata la Pausini...



Esatto. Sono molti anni che vivo a Milano, e ho fatto molte esperienze, ho suonato tanto, ho fatto provini, concorsi...non mi sono mai precluso nulla, il che mi ha dato la possibilità di conoscere moltissime persone, molti musicisti. La conoscenza, in questo settore, fa si che il tuo nome sia sulla bocca di tutti...il che è fondamentale perché ti porta ad avere più occasioni di lavoro e di ulteriori contatti. Certo non con tutti si riesce ad instaurare lo stesso tipo di rapporto, ma con alcuni, se sei una persona autentica e onesta, riesci anche a creare vere amicizie. Io personalmente ho sempre cercato di essere una brava persona, collaborativa, affabile, tranquilla, riuscendo a lavorare sempre bene, a farmi un nome grazie anche alla facilità con cui, col sottoscritto, si riesce non solo a suonare, ma anche interagire e vivere al di là degli impegni professionali. Quando suoni, trascorri mesi e mesi in tour, convivi per la maggior parte del tempo con i tuoi colleghi, con i tecnici... sicché la facilità e la tranquillità nei rapporti sono un plusvalore eccezionale, che fa si che il tuo nome venga ricordato e citato allorché si organizza uno spettacolo nuovo ed un tour, e si deve scegliere che squadra di musicisti e lavoratori creare. E' così che sono stato chiamato al provino per il posto da chitarrista nell'ultimo tour di Laura Pausini. Un po' grazie alla mia esperienza, ma soprattutto grazie anche all'intercessione e alla segnalazione del mio nome da parte di musicisti che conosco da anni e che sono anche miei cari amici.

Quando suoni in contesti così alti, ad altissimi livelli professionali, e alludo anche alle dimensioni della cosa, agli stadi gremiti di gente, agli spettacoli in tutto il mondo, alle riprese televisive, alla risonanza massmediatica di un lavoro, di un ingaggio...è difficile rimanere con i piedi per terra, non perdere il controllo, il contatto con la realtà?

Questa è una domanda difficile, a cui voglio rispondere con assoluta sincerità.
Non è difficile perdere i controllo. Almeno, per quanto mi riguarda dato che sono nuovo a simili esperienze, subentra un altro meccanismo: sono talmente tante le cose a cui devi pensare, sono talmente serrati i ritmi ed è tutto così frenetico, che non riesci ad essere quello che eri prima, ovvero, non riesci ad essere disponibile come prima di andare in tour. Ti arriva un messaggio da un amico, e magari riesci a rispondere solo il giorno successivo, perché sei dall'altra parte del mondo, catapultato in una dimensione professionale che ha orari e organizzazioni scrupolose e pensate al dettaglio, ed in cui il rispetto della tabella di marcia, dell'orario prestabilito per fare una data cosa, vengono prima della risposta con saluti al messaggio del tuo amico. Il che non vuol dire sentirsi sopra le righe, significa solo che per alcuni mesi, le tue priorità sono altre. Anche questa intervista -ride- che avremmo già dovuto fare mesi or sono, siamo riusciti a organizzarla solo adesso per tutta una serie di cause di forza maggiore che esulano da un rapporto di amicizia come il nostro, dal carattere di una persona e dalla sua disponibilità... Mi spiego?

Perfettamente

Inoltre, data la serietà del contesto, non ti puoi permettere di sbagliare o di prendere sotto gamba il ben che minimo dettaglio: la sveglia, che magari a casa lasci suonare per altri dieci minuti prima di alzarti, la devi sentire e ti devi alzare all'istante, perché se l'organizzazione ha deciso che ci si parte col bus alle nove, è perché alle undici c'è un aereo da prendere, alle due c'è un sound check da fare e ci sono altre decine di persone con orari e mansioni perfettamente incastrati, per cui non ti è concesso addormentarti e ritardare il lavoro di qualcun' altro. Ecco perché devi mettere mano al tuo carattere e alle tue abitudini, non perché tu ti senta alienato dalla realtà o superiore, o diverso da ciò che eri fino al giorno prima, ma perché altrimenti, a quei livelli, non riesci a rendere, e finisci col danneggiare anche il lavoro degli altri.
Pensa che in questo periodo ho perso quindici chili!

Quanta consapevolezza della propria bravura è necessaria per affrontare una sfida simile, per salire su un palcoscenico con davanti ventimila persona che gridano e che magari guardano anche te?

Dipende da come sei fatto, e da come tu vivi le esperienze. Per me è più difficile mantenere il controllo e la concentrazione in contesti piccoli, dove l'attenzione al suono e al contributo del singolo musicista e artista è maggiore. Quando suoni in contesti enormi, come gli stadi che riempie la Pausini, ti tremano sicuramente le gambe per la prima mezzora, ma ti senti anche più supportato, perché sai che davanti a te hai un leone da palcoscenico, che basta che dica “ciao” e tutto lo stadio strepita. La gente è concentrata su Laura, sicché a parte l'eseguire bene il tuo compito, non hai una responsabilità centrale, come quando suoni con artisti meno famosi e meno idolatrati che vengono visti, nei concerti, da estimatori molto attenti anche alle note che emetti tu e alla qualità della tua prestazione, sicché il tuo talento deve uscire e supportare il solista. Quando suoni a Parigi, con Laura che appena accenna alle prime note di un pezzo ventimila persone si mettono a cantare con lei, con te...beh è chiaro che il singolo strumento e la sua prestazione artistica (non tecnica, perché le note le devi prendere tutte e anche bene...) passano in secondo piano. La bravura tecnica e la sensibilità artistica sono fondamentali ovunque, ed è necessario che tu ci faccia appello in qualsiasi “momento” musicale della tua professione, ma è ovvio che in determinate occasioni conta di più, forse, l'avere i nervi saldi e l'essere tranquilli sul piano emotivo.

Come è nato il tuo rapporto con la musica?

Ho instaurato il mio rapporto con la musica innanzitutto in qualità di ascoltatore. I miei genitori sono amanti della musica, sicché già quando ero piccolissimo mi facevano ascoltare la musica di cui erano amanti e di cui erano soliti circondarsi in casa nostra. Uno dei primi suoni musicali che ricordo, è quello della chitarra di Mark Knopfler che mi faceva ascoltare mio padre. In realtà il primo strumento che ho voluto suonare non è stato la chitarra. Mi piaceva il ritmo, e una sera...avrò avuto quattro o cinque anni, al ristorante cinese di Vasto mi sono messo a picchiare le bacchette sui piatti!!! A casa poi la mamma mi ha messo a disposizione un po' di pentole, con le quali ho iniziato ad avvicinarmi al mondo della ritmica e a poco a poco ho iniziato a studiare la batteria. Poi è arrivata la chitarra; guardavo e sentivo mio padre che la suonava, e anziché uscire a giocare a pallone con gli amici, prendevo la sua chitarra dal divano e cercavo di strimpellare... ed ero talmente appassionato e concentrato su quello strumento, che a sei anni già conoscevo il suo repertorio, le canzoni dei Beatles e tutte quelle che il babbo faceva nelle sue serate. Lo seguivo sempre, osservavo le sue mosse, i suoi movimenti sulle corde fino ad arrivare a memorizzarli e a saperli riproporre. Ad un certo punto ho dovuto scegliere su quale strumento concentrarmi prevalentemente, e ho scelto la chitarra, anche se non ho mai abbandonato l'interesse per la batteria e tuttora, quando salgo su un palco e vedo tutto montato, il mio primo istinto è quello di mettermi alla batteria!

Tu sei un musicista di grande talento che a un certo punto ha lasciato la sua terra e ha fatto un vero e proprio salto nel buio, senza alcuna garanzia o certezza, e che ce la sta egregiamente “facendo”... Secondo te è davvero possibile oggi in questo paese, per come stanno le cose, realizzare una sorta di “sogno americano”, ovvero partire armati del solo talento e grazie al talento realizzare il proprio sogno?

Eh... Matteo. Chi lo può dire. E' questione di destino, di casualità...non solo di talento. Certo, contano il talento, la passione, il lavoro, il network di conoscenze e incontri di cui si parlava prima...ma fondamentalmente siamo su una ruota, che per alcuni gira e per altri no, oppure gira meno. Quanti musicisti di grandissimo talento conosciamo entrambi che non hanno ancora ottenuto quello che meritano?
E' un paese difficile e ostico specialmente per chi scrive, per chi propone la propria arte. Io stesso ho un mio progetto, ho una mia voce artistica con cui vorrei esprimermi senza aver ancora avuto appieno la possibilità di farlo. Ma per uno che non è solo strumentista, e che non si mette a disposizione della musica e della carriera di altri...le cose sono veramente difficili e le possibilità poche. Siamo un paese in cui tutto è un po' fermo, in cui la ruota in generale, per tutti, gira molto lentamente, specie per i giovani, o per le giovani voci dell'arte. Non c'è meritocrazia, e te lo dico sentendomi un po' un'eccezione, nel senso che mi posso considerare un musicista che ha talento e che ha anche avuto la possibilità di fare molte esperienze che possono essere considerate, all'esterno, i tratti di una carriera ben avviata. Ma so benissimo che anche ora le certezze sono poche e che la ruota si può fermare anche per me.

E' importante che un artista sappia fare sempre un po' di tutto o è bene “settorializzarsi” e concentrarsi su una strada in particolare?

Dipende da quello che uno si aspetta da questa professione, dalle prospettive a cui si mira. E' ovvio che le esigenze economiche ti portano ad affiancare, ad un percorso di esplorazione artistica personale, innumerevoli esperienze e situazioni lavorative che magari scegli per ragioni economiche, ma che comunque ti formano e contribuiscono ad arricchire il tuo linguaggio personale, quella capacità e quella dimestichezza espressive che sono fondamentali anche quando si fa prettamente la propria musica e si da sfogo alla propria voce. A questo concorre ad esempio l'aver suonato tanti generi diversi, l'aver conosciuto la musica da molte angolazioni, in modo che siano il tuo modo di vivere e di pensare, non solo di suonare, che a un certo punto cambiano e... ti ritrovi ad applicare, a coinvolgere il bagaglio di esperienze che ti porti appresso.

Tu sei quello che suoni...

Esatto. La molteplicità delle esperienze, delle cose viste e vissute va a finire sulle corde, sul pentagramma. Se avessi fatto meno o avessi fatto diversamente, probabilmente suonerei in maniera diversa.
Ci sono artisti che rimangono solo in un determinato settore, che contemplano una sola possibilità espressiva e che snobbano tutte le altre, prendi ad esempio alcuni jazzisti... che però, secondo me, si precludono occasioni di arricchimento o quantomeno di stimolo da parte di quei generi che pur essendo considerati meno nobili, meno artistici, come la musica leggera, fanno comunque parte dell'universo musicale e meritano quanto meno attenzione. Poi, per carità, da ogni esperienza si deve estrapolare e riutilizzare, con spirito critico, quello che ci può essere utile e può andare a porre qualche ulteriore accento sul nostro linguaggio. Ma l'apertura mentale è sacrosanta, per qualunque artista.



Ti piace trasmettere il tuo talento, ti piace insegnare?

Sono due concetti diversi. Insegnare e trasmettere un talento. Non sempre le due cose coincidono. Il talento lo puoi trasmettere anche indirettamente, a chi ti ascolta durante una serata, e lo fai in maniera spontanea. L'insegnamento prevede invece un'altra dinamica di rapporto, secondo cui l'insegnante deve imporre al proprio allievo un certo pacchetto di informazioni e regole da cui non si può esulare, e che non è detto che sanciscano, poi, il talento dell'allievo... Forse per entrambe le situazioni è fondamentale l'ascolto, nel senso che al di là delle note emesse in un concerto, o al di là di quello che tu spieghi a chi ti sta difronte per imparare a fare quello che tu fai, se no c'è la volontà da parte dell'altro di recepire una parte di quello che sei, o anche solo di ascoltare, beh... non c'è trasmissione di talento e tanto meno di un insegnamento corretto. In entrambi i casi per me la cosa diviene spiacevole e insoddisfacente. Forse nell'insegnamento ci vuole una dose di pazienza ancora maggiore che nell'esecuzione, la pazienza di chi si ferma e adegua il proprio “ritmo”, il proprio linguaggio a quello di chi ha evidentemente capacità e mezzi ancora limitati.

E tu che insegnante sei?

Ma... io sono un insegnante assolutamente atipico. Negli ultimi tempi, ovviamente, sono state pochissime le occasioni per esserlo... ma quando lo sono stato, ho cercato di essere me stesso, di immedesimarmi in quello che pensa un allievo e sono andato con la memoria a quando io ero un allievo, a quello che cercavo dai miei insegnanti, che fin dalle elementari ho fatto sudare; quando insegno, al margine degli esercizi e delle nozioni tecniche, mi preme trasmettere la voglia di suonare, lo stimolo ad andare oltre l'ora di lezione, e ad approfondire individualmente un percorso in cui, in definitiva, sei solo e sei l'assoluto protagonista. Il bravo insegnante, per riprendere il pensiero di Arturo Graf che è stato un grande poeta e critico letterario patrio, è quello che “ poco insegnando fa nascere nell'alunno una voglia grande di imparare”. Questa frase mi ha sempre colpito e mi ha sempre accompagnato, come insegnante, poiché esprime una grande verità. Certo, non è detto che ogni tuo allievo diventi poi un grande chitarrista, ma se riuscirà anche solo ad appassionarsi al tuo strumento e a vivere, per alcuni anni, parte delle emozioni che vivi e hai vissuto tu, vuol dire che come insegnante, e quindi anche come “trasmettitore” di talento, sarai stato capace ed efficace. Questo vale in generale nei rapporti tra le persone. I ragazzi, anzi noi giovani, abbiamo bisogno di essere stimolati, guidati, senza per forza essere imbevuti di informazioni e di insegnamenti. Anche solo l'ascolto di un nonno, delle storie della sua vita, da parte di un bambino, è una dinamica fatta di un talento che è stato vissuto e che viene condiviso, trasmesso a chi ha più vita a disposizione. Ed è questo tipo di condivisione che arricchisce un percorso di formazione, che ha arricchito il mio ad esempio, e che spesso manca ai figli delle giovani coppie che magari non hanno più i genitori, o hanno genitori poco nonni...poco “insegnanti”. Quando ti viene donata, inculcata la voglia di interessarti alla vita degli altri, alle persone che ti circondano e alle esperienze di cui sono ricchi, sia come musicisti sia come individui, beh... hai fatto il primo passo per essere se non un bravo musicista, quanto meno una persona appassionata.

Qual'è il requisito fondamentale che deve avere un musicista, sia che insegni, sia che impari, sia che delizi le orecchie e l'anima di pochi fortunati in una cantina di provincia, sia che intoni “La solitudine” davanti a quarantamila persone a San Siro?

La sensibilità. La predisposizione d'animo che serve per apprezzare un concerto, sia da ascoltatore sia da esecutore. La felicità di alzarti alla mattina e prendere in mano, per l'ennesima volta, il tuo strumento, con la stessa voglia che avevi quando hai iniziato. Questo è non solo il motivo per cui, secondo me, vale la pena fare il musicista, ma anche l'obiettivo che dovrebbe porsi ogni musicista, al margine delle gratificazioni e delle conquiste lavorative: la gioia di fare musica, sempre, comunque e ad ogni costo.

Sapevo già da prima che sarebbe arrivata questa risposta...



matteo picco

lunedì 7 gennaio 2013

AUDIZIONI!

Negli ultimi anni, il mondo della Corale Valla è cambiato radicalmente. 
Scelte artistiche "estreme" (per lo meno per coloro che le hanno subite), messe in atto per ricercare un sound definito e riconoscibile che si avvicini timidamente al Gospel quello vero, e per far sì che anche gli stessi coristi imparino ad avere un atteggiamento diverso nei confronti della pratica della Musica (quella vera), hanno generato una componente emotiva e sonora nuova nel Coro.



Ed è così, che dopo aver a malincuore chiuso la sezione dei bassi, che tratteneva il gruppo nella dimensione di una Corale più Spiritual che Contemporary Gospel, ora siamo alla ricerca di un equilibrio definitivo tra le sezioni.
Per questa ragione, da oggi, siamo alla ricerca di nuovi tasselli da inserire all'interno dell'ensemble.
Nello specifico:
- quattro tenori;
- tre contralti.

Come si svolge questa ricerca e come si impostano le audizioni per entrare a far parte della Corale Valla?

Parlo in prima persona, in qualità di direttore artistico, in modo da non confondermi in un inutile plurale majestatis.
Non credo più, dopo 13 anni alla direzione di questo coro che il meccanismo "vieni e prova a cantare con noi" possa funzionare. 
Come non sono dell'idea di poter accogliere nel coro aspiranti cantanti, che però non hanno mai provato neppure a cantare sotto la doccia. 
Non voglio voci fuori ruolo che si adattino o cerchino di adattarsi a registri vocali che non siano di loro competenza.

Cantare in questo gruppo, chiariti gli aspetti di cui sopra, implica alcuni presupposti, che elenco in maniera analitica, giusto per farmi capire in maniera chiara:

- frequenza costante (anche perchè se quella manca, Giulia, Federica e Marco - il Comitato Artistico - non fanno altro che lasciarti a casa);

- volontà di mettersi in discussione (un cantante "solista" spesso non è un buon corista, pur essendo magari dotato vocalmente);

- consapevolezza che si fa parte di un gruppo, in cui ciascuno ha le proprie responsabilità, dato che in linea di massima, ciascun corista ha un microfono a lui dedicato...

- consapevolezza che si lavora tutti insieme per raggiungere dei traguardi precisi, e per "calpestare" palchi di prestigio...soprattutto nel 2013...o per incidere Jingle...o per incidere dischi (eh, già, si riprende!);



Detto questo, per accedere alle audizioni si fa più o meno così:

1) si leggono un paio di volte le righe ut supra;
2) si scrive una mail all'indirizzo newentry@coralevalla.com
3) nella mail si indica il proprio registro vocale, un numero di telefono di riferimento, ed eventuali precedenti esperienze;
4) si riceverà una chiamata o mail di risposta, in cui si viene convocati per la audizione.

All'audizione il candidato valliano porterà almeno un paio di brani in inglese con le sue belle basi midi, preregistrate o quello che è; e, dopo un breve riscaldamento guidato, canterà microfono alla mano i due pezzi, ascoltato da me, e dai ragazzi del Comitato Artistico. Una volta fatto ciò la audizione è terminata.

e...vi faremo sapere!