lunedì 18 febbraio 2013

Le nostre interviste - NICOLA OLIVA

Nicola Oliva


Questa è una della poche occasioni in cui una presentazione è davvero superflua. Per presentare un grande musicista ed un amico, non servono chiose introduttive, riferimenti o sunti biografici e formalismi vari...

Basta la voglia e il piacere di ascoltare le sue parole.


Linda, Ornella Vanoni, Mario Lavezzi, Laura Pausini... negli ultimi anni la tua carriera ha conosciuto una vera e propria impennata. Ti va di provare a fare qualche bilancio?

Il periodo in cui ho suonato con Linda, ha rappresentato per me la prima occasione in cui mi sono reso conto, giorno per giorno, che stavo finalmente svolgendo una professione. Suonavo già da parecchi tempo, mi ero trasferito da circa due anni dall'Abruzzo, e frequentavo ancora il CPM di Milano, scuola a cui spesso erano invitati musicisti celebri per suonare con noi allievi e prendere parte, per qualche ora, alla nostra esperienza formativa... ricordo Ron ed Elisa, ad esempio, per citarne alcuni. Per me, per noi, era ovviamente motivo di studio e preparazione ma anche di grande emozione, e ci si apprestava a questi “incontri” come a veri e propri concerti, come a imperdibili occasioni di confronto col mondo degli artisti, dei professionisti. Linda volle fare un casting presso la scuola per formare la sua band, feci il provino e fui preso per accompagnarla in tour. Abbiamo suonato insieme per cinque anni, anni bellissimi in cui ho lavorato con una grande artista, forse non molto conosciuta, ma di prim'ordine, con cui è facilissimo suonare qualsiasi genere. La dimensione del tour e della band era “familiare”, si viaggiava, si stava insieme, tappa dopo tappa, si viveva a stretto contatto... e per la prima volta mi sono reso conto che con la chitarra potevo non solo vivere, ma anche mantenermi ed esprimermi a livello lavorativo...

Poi c'è stato una salto, una... evoluzione, giusto?

Si, allorché ho conosciuto Ornella Vanoni e ne sono diventato il chitarrista. Anche in quell'occasione feci un provino, grazie all'intercessione di Mario Lavezzi con cui avevo collaborato per alcuni lavori in studio. Con Ornella sono entrato in un contesto illustre, in cui mi veniva quasi da muovermi in punta di piedi, perché erano cambiate le dinamiche, suonavo con un mito della canzone italiana, facevo concerti in teatri e luoghi prestigiosi, insomma suonavo e ho suonato davvero ad altissimo livello.
E' stata una fortissima emozione anche dal punto di vista umano, poiché ho iniziato a lavorare con una donna che non solo è una grande artista, ma anche una parte della nostra storia che tutti conoscono e alla quale ho sempre guardato quasi con riverenza. Anche il modo di suonare, sul piano tecnico, si è evoluto in una chiave di maggiore professionalità e prestigio... non so, mi presentavo alle prove e trovavo già la strumentazione montata e mi dovevo solo occupare della musica, potevo “entrare” con più tranquillità e facilità nello spirito dei una esecuzione. E' stato un grandissimo cambiamento.

E quindi è arrivata la Pausini...



Esatto. Sono molti anni che vivo a Milano, e ho fatto molte esperienze, ho suonato tanto, ho fatto provini, concorsi...non mi sono mai precluso nulla, il che mi ha dato la possibilità di conoscere moltissime persone, molti musicisti. La conoscenza, in questo settore, fa si che il tuo nome sia sulla bocca di tutti...il che è fondamentale perché ti porta ad avere più occasioni di lavoro e di ulteriori contatti. Certo non con tutti si riesce ad instaurare lo stesso tipo di rapporto, ma con alcuni, se sei una persona autentica e onesta, riesci anche a creare vere amicizie. Io personalmente ho sempre cercato di essere una brava persona, collaborativa, affabile, tranquilla, riuscendo a lavorare sempre bene, a farmi un nome grazie anche alla facilità con cui, col sottoscritto, si riesce non solo a suonare, ma anche interagire e vivere al di là degli impegni professionali. Quando suoni, trascorri mesi e mesi in tour, convivi per la maggior parte del tempo con i tuoi colleghi, con i tecnici... sicché la facilità e la tranquillità nei rapporti sono un plusvalore eccezionale, che fa si che il tuo nome venga ricordato e citato allorché si organizza uno spettacolo nuovo ed un tour, e si deve scegliere che squadra di musicisti e lavoratori creare. E' così che sono stato chiamato al provino per il posto da chitarrista nell'ultimo tour di Laura Pausini. Un po' grazie alla mia esperienza, ma soprattutto grazie anche all'intercessione e alla segnalazione del mio nome da parte di musicisti che conosco da anni e che sono anche miei cari amici.

Quando suoni in contesti così alti, ad altissimi livelli professionali, e alludo anche alle dimensioni della cosa, agli stadi gremiti di gente, agli spettacoli in tutto il mondo, alle riprese televisive, alla risonanza massmediatica di un lavoro, di un ingaggio...è difficile rimanere con i piedi per terra, non perdere il controllo, il contatto con la realtà?

Questa è una domanda difficile, a cui voglio rispondere con assoluta sincerità.
Non è difficile perdere i controllo. Almeno, per quanto mi riguarda dato che sono nuovo a simili esperienze, subentra un altro meccanismo: sono talmente tante le cose a cui devi pensare, sono talmente serrati i ritmi ed è tutto così frenetico, che non riesci ad essere quello che eri prima, ovvero, non riesci ad essere disponibile come prima di andare in tour. Ti arriva un messaggio da un amico, e magari riesci a rispondere solo il giorno successivo, perché sei dall'altra parte del mondo, catapultato in una dimensione professionale che ha orari e organizzazioni scrupolose e pensate al dettaglio, ed in cui il rispetto della tabella di marcia, dell'orario prestabilito per fare una data cosa, vengono prima della risposta con saluti al messaggio del tuo amico. Il che non vuol dire sentirsi sopra le righe, significa solo che per alcuni mesi, le tue priorità sono altre. Anche questa intervista -ride- che avremmo già dovuto fare mesi or sono, siamo riusciti a organizzarla solo adesso per tutta una serie di cause di forza maggiore che esulano da un rapporto di amicizia come il nostro, dal carattere di una persona e dalla sua disponibilità... Mi spiego?

Perfettamente

Inoltre, data la serietà del contesto, non ti puoi permettere di sbagliare o di prendere sotto gamba il ben che minimo dettaglio: la sveglia, che magari a casa lasci suonare per altri dieci minuti prima di alzarti, la devi sentire e ti devi alzare all'istante, perché se l'organizzazione ha deciso che ci si parte col bus alle nove, è perché alle undici c'è un aereo da prendere, alle due c'è un sound check da fare e ci sono altre decine di persone con orari e mansioni perfettamente incastrati, per cui non ti è concesso addormentarti e ritardare il lavoro di qualcun' altro. Ecco perché devi mettere mano al tuo carattere e alle tue abitudini, non perché tu ti senta alienato dalla realtà o superiore, o diverso da ciò che eri fino al giorno prima, ma perché altrimenti, a quei livelli, non riesci a rendere, e finisci col danneggiare anche il lavoro degli altri.
Pensa che in questo periodo ho perso quindici chili!

Quanta consapevolezza della propria bravura è necessaria per affrontare una sfida simile, per salire su un palcoscenico con davanti ventimila persona che gridano e che magari guardano anche te?

Dipende da come sei fatto, e da come tu vivi le esperienze. Per me è più difficile mantenere il controllo e la concentrazione in contesti piccoli, dove l'attenzione al suono e al contributo del singolo musicista e artista è maggiore. Quando suoni in contesti enormi, come gli stadi che riempie la Pausini, ti tremano sicuramente le gambe per la prima mezzora, ma ti senti anche più supportato, perché sai che davanti a te hai un leone da palcoscenico, che basta che dica “ciao” e tutto lo stadio strepita. La gente è concentrata su Laura, sicché a parte l'eseguire bene il tuo compito, non hai una responsabilità centrale, come quando suoni con artisti meno famosi e meno idolatrati che vengono visti, nei concerti, da estimatori molto attenti anche alle note che emetti tu e alla qualità della tua prestazione, sicché il tuo talento deve uscire e supportare il solista. Quando suoni a Parigi, con Laura che appena accenna alle prime note di un pezzo ventimila persone si mettono a cantare con lei, con te...beh è chiaro che il singolo strumento e la sua prestazione artistica (non tecnica, perché le note le devi prendere tutte e anche bene...) passano in secondo piano. La bravura tecnica e la sensibilità artistica sono fondamentali ovunque, ed è necessario che tu ci faccia appello in qualsiasi “momento” musicale della tua professione, ma è ovvio che in determinate occasioni conta di più, forse, l'avere i nervi saldi e l'essere tranquilli sul piano emotivo.

Come è nato il tuo rapporto con la musica?

Ho instaurato il mio rapporto con la musica innanzitutto in qualità di ascoltatore. I miei genitori sono amanti della musica, sicché già quando ero piccolissimo mi facevano ascoltare la musica di cui erano amanti e di cui erano soliti circondarsi in casa nostra. Uno dei primi suoni musicali che ricordo, è quello della chitarra di Mark Knopfler che mi faceva ascoltare mio padre. In realtà il primo strumento che ho voluto suonare non è stato la chitarra. Mi piaceva il ritmo, e una sera...avrò avuto quattro o cinque anni, al ristorante cinese di Vasto mi sono messo a picchiare le bacchette sui piatti!!! A casa poi la mamma mi ha messo a disposizione un po' di pentole, con le quali ho iniziato ad avvicinarmi al mondo della ritmica e a poco a poco ho iniziato a studiare la batteria. Poi è arrivata la chitarra; guardavo e sentivo mio padre che la suonava, e anziché uscire a giocare a pallone con gli amici, prendevo la sua chitarra dal divano e cercavo di strimpellare... ed ero talmente appassionato e concentrato su quello strumento, che a sei anni già conoscevo il suo repertorio, le canzoni dei Beatles e tutte quelle che il babbo faceva nelle sue serate. Lo seguivo sempre, osservavo le sue mosse, i suoi movimenti sulle corde fino ad arrivare a memorizzarli e a saperli riproporre. Ad un certo punto ho dovuto scegliere su quale strumento concentrarmi prevalentemente, e ho scelto la chitarra, anche se non ho mai abbandonato l'interesse per la batteria e tuttora, quando salgo su un palco e vedo tutto montato, il mio primo istinto è quello di mettermi alla batteria!

Tu sei un musicista di grande talento che a un certo punto ha lasciato la sua terra e ha fatto un vero e proprio salto nel buio, senza alcuna garanzia o certezza, e che ce la sta egregiamente “facendo”... Secondo te è davvero possibile oggi in questo paese, per come stanno le cose, realizzare una sorta di “sogno americano”, ovvero partire armati del solo talento e grazie al talento realizzare il proprio sogno?

Eh... Matteo. Chi lo può dire. E' questione di destino, di casualità...non solo di talento. Certo, contano il talento, la passione, il lavoro, il network di conoscenze e incontri di cui si parlava prima...ma fondamentalmente siamo su una ruota, che per alcuni gira e per altri no, oppure gira meno. Quanti musicisti di grandissimo talento conosciamo entrambi che non hanno ancora ottenuto quello che meritano?
E' un paese difficile e ostico specialmente per chi scrive, per chi propone la propria arte. Io stesso ho un mio progetto, ho una mia voce artistica con cui vorrei esprimermi senza aver ancora avuto appieno la possibilità di farlo. Ma per uno che non è solo strumentista, e che non si mette a disposizione della musica e della carriera di altri...le cose sono veramente difficili e le possibilità poche. Siamo un paese in cui tutto è un po' fermo, in cui la ruota in generale, per tutti, gira molto lentamente, specie per i giovani, o per le giovani voci dell'arte. Non c'è meritocrazia, e te lo dico sentendomi un po' un'eccezione, nel senso che mi posso considerare un musicista che ha talento e che ha anche avuto la possibilità di fare molte esperienze che possono essere considerate, all'esterno, i tratti di una carriera ben avviata. Ma so benissimo che anche ora le certezze sono poche e che la ruota si può fermare anche per me.

E' importante che un artista sappia fare sempre un po' di tutto o è bene “settorializzarsi” e concentrarsi su una strada in particolare?

Dipende da quello che uno si aspetta da questa professione, dalle prospettive a cui si mira. E' ovvio che le esigenze economiche ti portano ad affiancare, ad un percorso di esplorazione artistica personale, innumerevoli esperienze e situazioni lavorative che magari scegli per ragioni economiche, ma che comunque ti formano e contribuiscono ad arricchire il tuo linguaggio personale, quella capacità e quella dimestichezza espressive che sono fondamentali anche quando si fa prettamente la propria musica e si da sfogo alla propria voce. A questo concorre ad esempio l'aver suonato tanti generi diversi, l'aver conosciuto la musica da molte angolazioni, in modo che siano il tuo modo di vivere e di pensare, non solo di suonare, che a un certo punto cambiano e... ti ritrovi ad applicare, a coinvolgere il bagaglio di esperienze che ti porti appresso.

Tu sei quello che suoni...

Esatto. La molteplicità delle esperienze, delle cose viste e vissute va a finire sulle corde, sul pentagramma. Se avessi fatto meno o avessi fatto diversamente, probabilmente suonerei in maniera diversa.
Ci sono artisti che rimangono solo in un determinato settore, che contemplano una sola possibilità espressiva e che snobbano tutte le altre, prendi ad esempio alcuni jazzisti... che però, secondo me, si precludono occasioni di arricchimento o quantomeno di stimolo da parte di quei generi che pur essendo considerati meno nobili, meno artistici, come la musica leggera, fanno comunque parte dell'universo musicale e meritano quanto meno attenzione. Poi, per carità, da ogni esperienza si deve estrapolare e riutilizzare, con spirito critico, quello che ci può essere utile e può andare a porre qualche ulteriore accento sul nostro linguaggio. Ma l'apertura mentale è sacrosanta, per qualunque artista.



Ti piace trasmettere il tuo talento, ti piace insegnare?

Sono due concetti diversi. Insegnare e trasmettere un talento. Non sempre le due cose coincidono. Il talento lo puoi trasmettere anche indirettamente, a chi ti ascolta durante una serata, e lo fai in maniera spontanea. L'insegnamento prevede invece un'altra dinamica di rapporto, secondo cui l'insegnante deve imporre al proprio allievo un certo pacchetto di informazioni e regole da cui non si può esulare, e che non è detto che sanciscano, poi, il talento dell'allievo... Forse per entrambe le situazioni è fondamentale l'ascolto, nel senso che al di là delle note emesse in un concerto, o al di là di quello che tu spieghi a chi ti sta difronte per imparare a fare quello che tu fai, se no c'è la volontà da parte dell'altro di recepire una parte di quello che sei, o anche solo di ascoltare, beh... non c'è trasmissione di talento e tanto meno di un insegnamento corretto. In entrambi i casi per me la cosa diviene spiacevole e insoddisfacente. Forse nell'insegnamento ci vuole una dose di pazienza ancora maggiore che nell'esecuzione, la pazienza di chi si ferma e adegua il proprio “ritmo”, il proprio linguaggio a quello di chi ha evidentemente capacità e mezzi ancora limitati.

E tu che insegnante sei?

Ma... io sono un insegnante assolutamente atipico. Negli ultimi tempi, ovviamente, sono state pochissime le occasioni per esserlo... ma quando lo sono stato, ho cercato di essere me stesso, di immedesimarmi in quello che pensa un allievo e sono andato con la memoria a quando io ero un allievo, a quello che cercavo dai miei insegnanti, che fin dalle elementari ho fatto sudare; quando insegno, al margine degli esercizi e delle nozioni tecniche, mi preme trasmettere la voglia di suonare, lo stimolo ad andare oltre l'ora di lezione, e ad approfondire individualmente un percorso in cui, in definitiva, sei solo e sei l'assoluto protagonista. Il bravo insegnante, per riprendere il pensiero di Arturo Graf che è stato un grande poeta e critico letterario patrio, è quello che “ poco insegnando fa nascere nell'alunno una voglia grande di imparare”. Questa frase mi ha sempre colpito e mi ha sempre accompagnato, come insegnante, poiché esprime una grande verità. Certo, non è detto che ogni tuo allievo diventi poi un grande chitarrista, ma se riuscirà anche solo ad appassionarsi al tuo strumento e a vivere, per alcuni anni, parte delle emozioni che vivi e hai vissuto tu, vuol dire che come insegnante, e quindi anche come “trasmettitore” di talento, sarai stato capace ed efficace. Questo vale in generale nei rapporti tra le persone. I ragazzi, anzi noi giovani, abbiamo bisogno di essere stimolati, guidati, senza per forza essere imbevuti di informazioni e di insegnamenti. Anche solo l'ascolto di un nonno, delle storie della sua vita, da parte di un bambino, è una dinamica fatta di un talento che è stato vissuto e che viene condiviso, trasmesso a chi ha più vita a disposizione. Ed è questo tipo di condivisione che arricchisce un percorso di formazione, che ha arricchito il mio ad esempio, e che spesso manca ai figli delle giovani coppie che magari non hanno più i genitori, o hanno genitori poco nonni...poco “insegnanti”. Quando ti viene donata, inculcata la voglia di interessarti alla vita degli altri, alle persone che ti circondano e alle esperienze di cui sono ricchi, sia come musicisti sia come individui, beh... hai fatto il primo passo per essere se non un bravo musicista, quanto meno una persona appassionata.

Qual'è il requisito fondamentale che deve avere un musicista, sia che insegni, sia che impari, sia che delizi le orecchie e l'anima di pochi fortunati in una cantina di provincia, sia che intoni “La solitudine” davanti a quarantamila persone a San Siro?

La sensibilità. La predisposizione d'animo che serve per apprezzare un concerto, sia da ascoltatore sia da esecutore. La felicità di alzarti alla mattina e prendere in mano, per l'ennesima volta, il tuo strumento, con la stessa voglia che avevi quando hai iniziato. Questo è non solo il motivo per cui, secondo me, vale la pena fare il musicista, ma anche l'obiettivo che dovrebbe porsi ogni musicista, al margine delle gratificazioni e delle conquiste lavorative: la gioia di fare musica, sempre, comunque e ad ogni costo.

Sapevo già da prima che sarebbe arrivata questa risposta...



matteo picco