Con
lui mi è successo quello che in genere capita solo coi “grandi”...
con i veri “grandi”: mi preparo per alcuni giorni alla sua
intervista, leggo e ascolto materiale in internet, mi informo su
tutto ciò che può riguardare la sua carriera artistica, cerco di
carpire informazioni sulla persona, provo a farmi un’idea del
carattere, mutuata anche da un breve incontro che ci ha visto insieme
ad una cena lo scorso anno, preparo una scaletta delle domande che so
che verrà puntualmente stravolta in fase di dialogo... insomma,
faccio più o meno quello che si fa in genere quando ci si appresta a
incontrare un artista, un professionista di un dato settore, in
questo caso quello musicale. E non faccio mistero anche di una buona
dose di emozione e soggezione che mi è stata appresso nel breve
tragitto da casa mia a casa sua. Arrivo nel suo studio e due fugaci
minuti dopo, la sua gentilezza, la sua disponibilità, la sua
semplicità mi hanno già fatto scordare di tutto quello che sfavilla
intorno al suo curriculum, nomi illustri, stadi gremiti, Sanremo....
e mi sembra di essere a conversazione con un amico di vecchia data,
con cui è tanto tempo che ho voglia di parlare, di confrontarmi, e
da cui so che mi accomiaterò più ricco di quanto lo fossi prima di
rivederlo. Già, e una parte di questa ricchezza la voglio donare
anche a voi...
Lorenzo,
quando e come nasce il tuo rapporto con la Corale e in generale col
mondo del Gospel?
Ho
conosciuto Francesco la prima volta in occasione di una sostituzione
per un una serata. Non ricordo se a chiamarmi e a parlarmi del
progetto fu Pino di Pietro piuttosto che Marco Mangelli... Ricordo
che appunto c’era la necessità di un bassista e fu fatto il mio
nome. Conoscevo già la Corale Valla e l’attività dei ragazzi,
sebbene non avessi mai preso parte attivamente a questo genere
musicale prima di allora, a parte forse qualche esperienza sporadica
in contesti molto meno strutturati artisticamente, di cui tra l’altro
non ricordo quasi nulla. Poi in seguito il rapporto si è consolidato
e Francesco mi ha fatto ascoltare e conoscere molti pezzi e molte
realtà che fanno Gospel a grandissimi livelli, oltre oceano
soprattutto. Ma la possibilità di fare esperienza nel Gospel
italiano, in un certo modo e con un progetto artistico e anche
discografico ben definito, la devo proprio ai ragazzi della Corale.
Senti,
e il tuo rapporto con la musica, più in generale, è nato grazie ad
una folgorazione, ad un incontro improvviso con uno strumento, con
una canzone, con un musicista... oppure si è sviluppato più
gradualmente?
Mi
sono avvicinato al mondo della musica in maniera graduale e
assolutamente naturale, perché vengo da una famiglia di musicisti.
Pensa che mia nonna è stata una pianista, era diplomata in
pianoforte e in canto, era soprano, e ti dico che all’epoca, quando
era giovane, non ebbe vita facile in tal senso, stiamo parlando di
decenni e decenni fa... Mia mamma invece ha sviluppato la vena
artistica in un senso più vasto, dedicandosi non solo alla musica ma
anche alla scrittura, alla pittura, ha fatto la bambolaia, è una
autrice di testi di canzoni e di racconti, insomma è un’artista
poliedrica. Per cui fin da piccoli, io e mio fratello, abbiamo
respirato aria di musica, grazie alla nonna che iniziò presto a
insegnarci un po’ di solfeggio, e alla mamma che suonando la
chitarra, ci fece venire voglia di prendere in mano uno strumento
musicale. Devo dire che la conoscenza della musica dei miei genitori
fece si che fin da subito, per quanto il primo approccio maturò un
po’ per gioco, lo studio avvenisse in maniera corretta e seria,
grazie alla scelta di validissimi maestri come Giancarlo Dalla Casa,
il mio primo maestro di chitarra classica e Luigi Costa, maestro di
fisarmonica per mio fratello.
E
il basso, quando è entrato in gioco?
Beh,
sempre grazie alla mamma, che ci ha sempre detto che un bravo
musicista deve saper suonare un po’ di tutto. I dischi che si
ascoltavano in casa, di ogni genere e di ogni epoca, mi fecero venire
voglia di conoscere e capire tutti gli aspetti musicali di ciò che
ascoltavo, tra cui il basso, uno strumento che in genere si sente
meno, che rimane più lontano rispetto allo spettro della voce, nel
complesso dell’esecuzione, e che di conseguenza risulta sempre un
po’ più “sotto”, ad un ascolto profano”, rispetto agli altri
strumenti, a meno che qualcuno non ti faccia notare la sua
presenza... Poi la conoscenza e lo studio si sono via via
approfonditi. Ricordo che mio fratello comprò il primo quattro piste
a cassette che uscì in commercio, nel ‘78 o ‘79, e con quello
registravamo le basi in casa, con la chitarra, la batteria
elettronica e le tastiere, solo che mancava sempre il basso, a meno
che non usassimo la chitarra scordata!!! -
ride-
Sicché a un certo punto decidemmo di comprare anche il basso, e
quando iniziai a suonarlo, fu subito innamoramento...
1982 - una delle prime registrazioni in Studio
Dobbiamo
ringraziare anche tuo fratello allora...
Per
la tua musica, per il suo aspetto creativo, che cos’è fonte di
ispirazione? La religione, l’amore per la vita... c’è una
componente, diciamo, “ispirazionale” alla base della tua cifra
artistica?
Assolutamente.
Sono di carattere una persona molto credente, ho una fede molto
solida, sebbene non l’abbia mai coinvolta nella mia musica e abbia
cercato di tenere le due cose separate. Invece mi sono sempre
adoperato per fare musica con vitalità, qualunque cosa mi sia
trovato a scrivere e suonare negli anni. L’aspetto “vitale” e
non statico del suonare, l’aspetto emotivo hanno sempre
contraddistinto la mia ricerca musicale, l’esperienza che ho
maturato. E me ne sono reso conto col passare degli anni,
inizialmente era più un meccanismo spontaneo, che solo col tempo si
è consolidato ed è diventato il principale obiettivo per cui faccio
quello che faccio, specialmente nella fase creativa del fare musica,
che è la cosa più bella, per quanto mi riguarda.
A
tale proposito, tu hai lavorato con grandissimi nomi della musica, in
trasmissioni televisive importanti, nell’ambito di produzioni e
contesti musicale prestigiosi in cui sei stato protagonista in quanto
bassista... ecco, come si può coniugare, in questo frangente
musicale, l’aspetto creativo, ispirato... con quello tecnico, con
la componente più squisitamente “turnistica”, che spesso non
consente una profusione libera di creatività e individualismo?
Guarda,
io sono sempre stato abituato a suonare con gli altri e per gli
altri, per cui la mia priorità non è mai stata quella di far
emergere la mia presenza, la mia individualità. E’ poi ovvio che
qualunque strumento tu suoni una parte di te emerga comunque. Ciò a
cui aspiro, quando suono, è suonare bene il basso nel contesto della
canzone, accompagnando bene i musicisti con cui lavoro. Quello che
serve, in un brano, è una linea di basso decisa, piuttosto che un
bassista estroso o dotato di una personalità particolarmente
evidente. Quando poi suoni con artisti che hanno alle spalle decenni
di carriera e venti o trenta dischi, la tua creatività e il tuo
individualismo si devono un po’ mettere da parte a favore della
visione di insieme, di un linguaggio artistico già di per sé
individuale e presente, che tu sei semplicemente chiamato ad
accompagnare ed arricchire. La particolarità, in questo caso, non
deve mai essere più importante di una bella suonata, corretta e
precisa. Se posso usare un paragone un po’ machista: una donna
particolare, non bellissima ma originale, può piacere come non può
piacere. Una donna oggettivamente bella, piace sempre e comunque e
mette d'accordo tutti... -
ridiamo, lui più di me però... -
La
storia del basso è molto recente: parliamo di uno strumento che ha
una cinquantina d’anni di vita e che si è sviluppato in maniera
strettamente correlata alla storia della canzone, al concetto di
accompagnamento musicale, al percorso che fatto il Rithm'n'Blues...
Per cui il suo mondo, il suo linguaggio sono molto vicini a noi
contemporanei e c’è, nel musicista, ancora molta sete di
conoscenza ed esplorazione dello strumento in sé, ma in rapporto
alla canzone, alla melodia con cui interagisce. Quando ci si
allontana troppo dalla sua componente più tradizionale, più
tecnica, si rischia di apparire fuori luogo. Per carità, ho
conosciuto bassisti straordinari che hanno intrapreso un percorso di
ricerca molto personale e assolutamente degno di rispetto, che ha
portato alla definizione di nuovi stili e ha allargato molto il
linguaggio dello strumento. Strumento riguardo al quale, però, io
sono più un tradizionalista.
Per
tornare alle grandi personalità della musica italiana con cui hai
lavorato, tra cui Vasco Rossi, Ron, Enrico Ruggeri, Franco Battiato,
Renato Zero... cosa ti hanno “lasciato”, di più, queste
conoscenze che immagino siano state estremamente formative e
pregnanti non solo sul piano artistico ma anche su quello personale?
Sono
tutti artisti eccezionali. Musicalmente parlando, Ron è uno di
quelli che mi ha fatto appassionare di più per via della sua
straordinaria capacità di tramutare in note gli aspetti emotivi,
qualità che ogni artista dovrebbe possedere e che Ron ha sviluppato
in maniera particolare ed estremamente raffinata... Renato Zero...
beh... è un artista immenso, di una completezza straordinaria, è in
grado di far uscire arte da tutti i pori, oltre che essere un
cantante eccezionale. Con Renato tra l’altro ho fatto il mio primo
turno, ho avuto la mia prima esperienza importante, quando avevo
vent’anni e mi sentivo uno scricciolo dinanzi a una montagna...
Vasco
Rossi è un “purosangue”, un artista che si è sempre espresso
con la sua musica e che ha sempre avuto la capacità di convogliare
nelle canzoni le emozioni della gente, il sentire popolare...
insomma, posso dire di aver preso parte a straordinari momenti di
creatività artistica, di cui mi reputo un fortunato testimone.
Ecco,
c’è qualcuno che nella realtà è diverso da come appare, nel bene
e nel male?
Si...
c’è qualcuno che predica bene e razzola male! Anche se devo
riconoscere che a sbagliare sono stato spesso io, specie nel passato
quando ero più giovane; sono rimasto deluso quando ho cercato
qualcosa di più di una collaborazione artistica, con alcuni dei big
con cui ho lavorato, e ho ricevuto molto meno, sul piano personale ed
umano, di quello che mi aspettavo... ma, ripeto, sono io che a volte
ho frainteso e mi sono esposto troppo nel cercare di tirare fuori non
solo la musica, ma anche i sentimenti, con tutti i rischi che la cosa
comporta. Non sempre la persona che hai davanti è disposta a
corrispondere a questa cosa, al tentativo di far nascere un’amicizia,
e questo vale per ogni ambito lavorativo e con ogni tipologia di
persona con cui ti ritrovi ad interagire. E più ti esponi, più alte
sono le aspettative. Col tempo ho imparato a dosare di più quello
che metto sul “piatto”, al margine della componente musicale e a
prescindere dalla notorietà delle persone con cui lavoro. E’
capitato e capita, a volte, che dalla collaborazione professionale
nasca anche un’amicizia, ma sono consapevole che non è sempre
possibile, e quindi cerco sempre di non avere un’idea a priori su
come potrebbe svilupparsi un rapporto. Con Ruggeri ad esempio è nata
una splendida amicizia. Enrico mi ha insegnato moltissimo sul fronte
musicale e importante è stato anche l’arricchimento umano che è
derivato da un rapporto che dura davvero da una vita.
E
ti è mai capitato il contrario, ovvero di aver avuto un’idea
negativa di una persona, piacevolmente smentita, poi, al momento
della conoscenza diretta?
Certo,
è capitato anche questo, a dimostrazione del fatto che non bisogna
mai sviluppare preconcetti sulla scorta delle dicerie o delle voci di
corridoio. Non dimentichiamoci che quando si fa musica, quando si fa
arte, la posta in gioco è molto alta: metti a disposizione degli
altri, condividi con altri artisti, la tua anima... da cui ciascuno
ne trae qualcosa, nel bene e nel male. Quando si decide di
intraprendere una collaborazione, le esperienze e le voci di qualcun'
altro contano poco, perché il rapporto che ciascuno di noi è in
grado di instaurare con chiunque, è personale e soggettivo, e
l’esperienza che io ho avuto con un dato artista, famoso o meno,
può essere diametralmente opposta rispetto a quella di qualcun
altro. Quando si tratta di lavoro, e di Arte, bisogna fare
affidamento solo sulla propria onestà intellettuale, e sul ventaglio
di possibilità e opportunità che offre un' interazione tra
professionisti, e prima ancora tra essere umani.
Stiamo
parlando di un mondo estremamente complicato in cui, da quanto mi
dici, si riesce a coniugare bene professionalità e amicizia ma con
il giusto equilibrio tra coinvolgimento emotivo e distacco
professionale...
Assolutamente.
A volte si riesce, a volte no. Se tra musicisti c’è un rapporto di
amicizia, perché, come nel caso dei Sottosopra, si suona insieme da
più o meno gli stessi anni, si sono fatte esperienze in ambiti
condivisi, si è cresciuti insieme... il fare musica ne risente in
positivo e ne trae vantaggio, perché si affronta meglio la
componente della fatica, del lavoro estenuante in sala prova, dei
viaggi, delle attese... la convivenza tra opinioni è più libera,
per cui la musica può diventare un ulteriore motivo per coltivare un
rapporto umano e perpetuarlo nel tempo.
I sottosopra "2"
I
musicisti tendono ad avvicinarsi, a condividere esperienze, momenti
vissuti, punti di vista... è una questione di interessi comuni...
di
affinità elettive ...
...
esatto, se poi nasce anche un’amicizia, si crea davvero qualcosa di
straordinario. La musica può giustificare, consentire la nascita di
un' amicizia, ecco perché, difficoltà e sacrifici a parte, quello
del musicista è un mestiere privilegiato.
Come
valuti l’odierna situazione della musica italiana? Cos’è
cambiato rispetto ai tuoi esordi?
Quello
che noto oggigiorno, è che chi si avvicina alla musica, lo fa con
l’intento prioritario di avere successo, di guadagnare notorietà...
quando invece l’obiettivo principale dovrebbe essere innanzitutto
quello di imparare a farla, la musica... sia che si tratti di
imparare a suonare uno strumento, sia che si tratti del canto, della
composizione etc. etc. Se frequenti un qualsiasi social network, noti
che tutti spingono, scalpitano per la visibilità. Per carità
l’ambizione è fondamentale, specialmente per i giovani, in cui si
mischia agli ormoni... ma dietro la voglia di “sfondare” ci deve
essere innanzitutto l’intenzione di fare bella musica, di avere in
mano un disco bello e rappresentativo del proprio linguaggio e della
propria Arte. Bisogna essere prima di tutto appassionati. Quello che
deve succedere, se deve succedere, capita anche senza che si debba
andare a bussare costantemente a tutte le porte. Forse per un
cantante il discorso è leggermente diverso, nel senso che un
cantante, un frontman ha più bisogno di avere un riscontro nel
pubblico, un feedback da parte di chi c’è intorno, perché è il
suo ruolo a richiederlo e prevederlo maggiormente... sicché per
quanto concerne il canto la bravura e il talento vanno di pari passo
con la capacità di comunicare, ma per un bassista, o un batterista,
la voglia di apparire, di fare una figura migliore degli altri... a
volte può essere inutile e anche un po’ triste. E’ inevitabile
che torni indietro nel tempo e faccia paragoni con l’atteggiamento
che invece contraddistingueva, nell’ingresso nel mondo della
musica, i miei coetanei... A noi importava prima di tutto ricercare e
proporre bei suoni, fatti bene, pensati, e il confronto con gli
altri, col mondo esterno, era funzionale a questo, ad avere la
conferma che si era sulla giusta strada, che si aveva raggiunto un
progresso... adesso invece quello che un giovane musicista
implicitamente ti dice è : “ascolta quanto sono bravo”...
la
cultura dell’apparire...
proprio
così, quando invece il presupposto dell’Arte è l’essere, non
l’apparire. E questo oggi è ancora più essenziale, poiché la
società, la diffusione dei reality, la presunta facilità di accesso
al mondo dell’Arte... hanno fatto passare il concetto errato che
tutti abbiamo una possibilità, che tutti siamo nel diritto di dire
qualcosa e di esprimerci in campo artistico, anche senza avere alcuna
qualità o talento... ecco perché ciò che si è, quello che si ha
dentro e che si è coltivato con lo studio sono l’unica alternativa
possibile alla mediocrità... sono l’unico strumento con cui far
fronte alla cultura dell’apparenza. Non nasciamo tutti Pirandello,
sarebbe bello, ma non è così. E se tu fai credere il contrario a
un’intera generazione di ragazzi, poi sarà ancora più dura
spiegar loro che le cose stanno diversamente, che ci siamo sbagliati
e che non tutti possono essere novelli Pirandello.
Bisognerebbe
lasciare la passione alla passione. Se da questa poi scaturisce la
notorietà, ben venga... ma si può far musica, Arte, offrire al
pubblico un mestiere, anche rimanendo nelle retrovie, senza la smania
di arrivare.
E’
un po’ il concetto dei quindici minuti di notorietà, che Wahrol
sosteneva potessero essere, nel futuro, appannaggio di noi tutti...
il problema è che oggi la gente non si accontenta più di quindici
minuti... ma vuole ben di più...
Ci
si può esprimere in molti modi, in molti più modi rispetto al
passato, è la forma dell’espressione che è stata sminuita nel
tempo, cosa ne pensi?
Già.
Ma la colpa non è di chi si esprime o vuole esprimersi in musica, in
Arte. La colpa è di che ha in mano il potere, di chi fa un cattivo
uso degli strumenti che consentono a un artista di esprimersi... e la
cosa è deleteria nei confronti di chi magari ha più talento e più
cose da dire rispetto a qualcun' altro, ma è meno capace di
sgomitare. Si rischia di togliere al mondo la possibilità di
scoprire un vero artista. L’arte deve essere innanzitutto una forma
di espressione, punto. Non deve essere una forma di commercio, o
meglio, la diffusione commerciale deve essere secondaria e
subordinata rispetto all’artisticità di una persona e dei valori
che esprime. I numeri sono importanti, ma non lo saranno mai di più
rispetto al concetto di espressione, poiché avremo sempre bisogno di
leggere libri, di ascoltare canzoni... di affidarci a chi magari
condivide le nostre stesse emozioni, ma è capace o più capace di
tradurle sulla carta, sul pentagramma, di fare Arte... insomma.
Ad
un giovane, o a tuo figlio che ti dice “io vorrei fare musica,
vorrei intraprendere lo stesso percorso che hai fatto tu”, che
consiglio senti di poter offrire?
Non
ho molti consigli da dare, sai? Forse suggerirei di studiare la
teoria, specialmente all’inizio... però sai, l’arte è un
concetto talmente soggettivo e talmente inafferrabile, che un
consiglio dato sulla scorta di quella che è stata la mia esperienza
personale e soggettiva, rischierebbe di bloccare o compromettere il
futuro, lo sviluppo artistico di chi magari con la sua individualità
è destinato a cambiare, a sconvolgere quello che c’è stato prima
(esagero un po’...). Io posso parlare della mia esperienza, di
quello che ho imparato dai miei errori, che può magari
implicitamente far capire ad un esordiente come funzionano certi
meccanismi, ma, ripeto, il percorso di ciascuno è estremamente
personale.
Ma
tu diresti, al giovane in questione, a tuo figlio, di proseguire per
questa strada, di “buttarsi”?
Si...
esattamente come hanno fatto con me i miei genitori, i miei maestri,
che non mi hanno mai dato veti e mi hanno sempre lasciato libero
anche di sbagliare. Io credo che il lavoro grosso che noi “grandi”
dovremmo fare per insegnare qualcosa ai giovani, sia a livello
culturale; a livello musicale credo che ciascuno sia il miglior
insegnante di se stesso. E’ nell’ambito della mentalità e
dell’approccio alle cose che chi ha più esperienza è in grado di
lasciare un insegnamento. Bisogna leggere e conoscere il più
possibile, per avere a disposizione quante più parole si riesca a
trovare per esprimere un sentimento o un concetto... bisogna
ascoltare quanta più musica possibile, conoscere e frequentare
musicisti e artisti di ogni genere, ma questo va fatto anche prima di
prendere in mano uno strumento. Tecnica, specie all' inizio, ma
soprattutto tanta, tantissima curiosità, voglia di conoscenza.
Ecco,
questo è forse l’unico vero consiglio che porta ai risultati...
Grazie
con Al Jarreau al Festival di San Remo 2012
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