mercoledì 2 novembre 2011

Il cervello musicale: Mito e Scienza

E' un grande onore per noi pubblicare la traduzione integrale di questo eccezionale lavoro sul rapporto MUSICA-CERVELLO, opera di Antonio Montinaro, Direttore della Divisione di Neurochirurgia dell'Ospedale “V.Fazzi” di Lecce.
Tale lavoro è stato pubblicato negli States sul numero di maggio 2010 di WORLD NEUROSURGERY, una rivista scientifica neurochirurgica letta in tutto il mondo. 

Queste le parole di Antonio che accompagnano le mail cui è stato allegato il presente articolo: "E' un lavoro cui ho dedicato tantissimo tempo  e molte energie, ma con entusiasmo e devozione, e che rappresenta una sintesi delle mie riflessioni, delle mie ricerche e delle numerose conferenze sull'argomento fatte negli ultimi 5 anni in diverse sedi italiane prestigiose (una delle ultime a Milano il 20 febbraio 2010 a Palazzo Clerici a conclusione della Settimana Mozartiana organizzata dalla Jeunesse Musicale)." (rif. cit. A. Montinaro)


Grazie, Antonio! Ci hai fatto un dono immenso con questo articolo!



“Quando ascolto musica, non temo pericoli, sono invulnerabile, non vedo nemici, sono in rapporto con i primi tempi e con gli ultimi”
 (Thoreau, Journal 1857)

Introduzione

            “La musica e’ la signora che placa il dolore, mitiga l’ira, frena l’imprudenza, attenua il desiderio, guarisce il dispiacere, allevia la miseria della povertà, disperde la debolezza e lenisce le pene d’amore.”  (Pontus de Tyrad, Solitaire Second ou Prose de la musique, 1555)
        In queste parole bellissime e rivelatrici è racchiuso il mistero della musica che aiuta a vivere, che può guarire, e che può diventare persino maestra di vita e guida suprema nel momento in cui “mitiga l’ira e frena l’imprudenza”.
        Solo nella seconda metà del secolo scorso l’esplorazione del rapporto musica-cervello è diventato materia di studio e di approfondita ricerca, in continua evoluzione grazie al supporto dell’ imaging diagnostico (Risonanza Magnetica e  PET in primis). Oggi le neuroscienze guardano alla musica con interesse crescente,  finalizzato alla comprensione di quanto si è sempre solo intuito,  in assenza cioè di una ricerca dedicata e con risultati non validati. L’approccio interdisciplinare appare indispensabile nel momento in cui mito e scienza devono di necessità trovare un comune filo conduttore, soprattutto nell’epoca in cui sempre più stretta appare la correlazione fra soma e psiche. 
         Tamino e Pamina, nell’atto di affrontare le terribili prove iniziatiche, esclamano: ”Grazie alla potenza della Musica andremo con gioia attraverso le tenebre della morte”.
          Pure ancora oggi la musicoterapia stenta ad affermarsi come accettata terapia di supporto, mentre Novalis (Enciclopedia) tanto tempo fa asseriva: “Ogni malattia ha una soluzione musicale. Maggiore è il talento musicale del medico, tanto più breve e completa è la soluzione”.


      
LA MUSICA E IL CERVELLO


       Musica e cervello: la loro somiglianza è impressionante: un fugace sguardo ad un pentagramma solcato dalle numerose note di una fuga bachiana rimanda immediatamente alla citoarchitettonica della corteccia cerebrale, dove l’ordinamento di migliaia di milioni di neuroni risponde ad esigenze che non si fa difficoltà a definire musicali. 
       E’ di fatto un percorso musicale quello che tramuta il pensiero in azione, gesto, linguaggio: proviamo a pensare al corpo dell’atleta nel salto con l’asta, alle dita del pianista che infiammano la tastiera con progressioni vertiginose di terze, alle mani del neurochirurgo che preparano il colletto di un aneurisma per apporvi la clip ed escludere così l’aneurisma dal circolo, agli arti dell’organista che agisce contemporaneamente su tastiera e pedaliera; ma gli esempi potrebbero moltiplicarsi all’infinito.
       La genesi e la programmazione precisa di ogni gesto risiedono, com’è noto, nel cervello: fornito sia dei centri corticali che generano il movimento (centri di elaborazione del comando e centri di partenza degli stimoli motori) sia dei centri sottocorticali che modulano il movimento stesso e gli conferiscono il suo carattere inconfondibile, geneticamente determinato.
       La melodia e l’armonia di qualsiasi attività motoria somatica -  la musica del corpo -  sono perciò riproduzione fedele della melodia e dell’armonia dei pentagrammi cerebrali: la musica del cervello
       Ma c’è di più: come la musica per esistere ha bisogno di un interprete, così il cervello isolato e privato delle sue connessioni di fatto non esiste. Deve per essere nel mondo rapportarsi da una parte all’ambiente circostante, dall’altra riuscire ad essere interprete di se stesso. Deve cioè riuscire a leggere di volta in volta e con precisione assoluta le migliaia di pentagrammi dove sono segnati i suoi ritmi, le sue melodie, le sue affascinanti realizzazioni armoniche. Che gli derivano chissà da dove, segni e significanti di un ritmo primordiale, perduto ai sensi ma immanente nel complesso genico che sottende la vita e tutte le espressioni dell’umana esistenza.
        La vita finisce quando la musica del cuore si interrompe privando le fragilissime cellule cerebrali dell’indispensabile apporto di tutti quei fattori nutritivi (ossigeno e glucosio in primis) che consentono di avviare e mantenere attivi i processi di scambio fisico-chimico che regolano i rapporti inter-neuronali e i sistemi di collegamento fra le diverse regioni encefaliche. E’ in realtà la musica del cervello che si arresta, interrompendo definitivamente il suo legame, tanto vitale e tangibile quanto misterioso e lontano, con il ritmo dell’universo.
       Se guardiamo al sistema nervoso come ad una grande orchestra capace di esprimere la più completa gamma di ritmi e melodie e le più complesse combinazioni armoniche, risulta più agevole pensare come una qualsiasi lesione possa tradursi in una alterazione dei sistemi ritmici che tengono sincronizzato il cervello, dove i neuroni possono attivarsi al momento sbagliato o instaurare connessioni errate o non attivarsi affatto.  
        Poiché la musica diffonde fin negli angoli più remoti del cervello e del corpo e può far riemergere quanto appartiene al mondo dell’inconscio, la musica esterna può contribuire a rimettere in tono la musica neurologica. La musica conserva questo potere magico perché indissolubilmente collegata al “bagno di suoni primordiali nella vita endouterina” (Grimaldi,1993) e quindi “preesistente alla separazione“ (Maiello,1993). Essa è dunque rievocazione di una simbiosi mitica; nostalgia oggettivata di un mondo perduto ai sensi, ma ricostruito dolorosamente nel sogno, il sogno impossibile di una velleitaria reinfetazione, rifugio in un antro profondo che l’onda marina protegge dal frastuono della violenza e delle passioni del mondo.

FISIOLOGIA DELLA RICEZIONE MUSICALE

       La percezione della musica comprende tre livelli: il primo si identifica con la percezione elementare dello stimolo uditivo musicale; il secondo corrisponde all’analisi strutturale della musica, sia elementare (altezza, intensità,  ritmo, durata, timbro) che elaborata (frase, tempi, temi); il terzo è l’identificazione dell’opera che si ascolta. Per ognuna di queste funzioni esistono centri corticali differenti.
       Le ricerche anatomiche e fisiologiche da tempo hanno identificato un centro di proiezione acustica primaria localizzato nelle aree 41 e 42 dei lobi temporali, che corrispondono alle circonvoluzioni trasverse di Heschl. L’adiacente area 22 rappresenta la proiezione uditiva secondaria. E’ stata dimostrata una organizzazione tonotopica all’interno di queste aree. Gli stimoli uditivi sono proiettati dai corpi genicolati mediali alle aree corticali relative attraverso le radiazioni uditive che attraversano la capsula interna. Le aree primarie e secondarie sono a loro volta collegate con quasi tutto l’encefalo, con connessioni bidirezionali che realizzano complessi circuiti di associazione e feed-back.         
        Le nuove tecniche di neuroimmagine (tomografia a emissione di positroni, PET; Risonanza Magnetica funzionale, fMR) permettono di visualizzare quelle aree cerebrali che si attivano in risposta agli stimoli musicali e di seguire infine le modalità con cui le diverse regioni cerebrali danno la percezione della musica ed evocano le emozioni.
        Le tecniche elettroencefalografiche (potenziali evocati, elettroencefalografia quantitativa, l’event related desyncronization, ERD) e magnetoencefalografiche sono più limitate della PET sul piano della  risoluzione spaziale, ma presentano in compenso una eccellente risoluzione temporale, ciò che le rende particolarmente adatte allo studio della percezione uditiva, per le sue caratteristiche intrinsecamente temporali e sequenziali.      
        Utilizzando l’EEG quantitativa Auzou et al. hanno dimostrato che l’ascolto passivo di suoni musicali provoca delle modificazioni elettrofisiologiche nelle regioni temporali con prevalenza destra e che tale prevalenza veniva accentuata con coinvolgimento anche del lobo frontale nella discriminazione dell’altezza e del timbro.
        Recentemente è stato riportato il caso clinico di una donna mancina, senza alcuna educazione musicale, che durante le crisi epilettiche cantava una canzone folkloristica portoghese battendo simultaneamente le mani a ritmo. La zona epilettogenica era localizzata nell´emisfero sinistro, e venne trattata con successo con una amigdaloippocampectomia selettiva, mentre la zona da cui scaturivano le crisi non era stata localizzata tramite EEG. Questo raro caso di canto ictale suggerisce che la produzione della musica necessiti del coinvolgimento simultaneo dei due emisferi.
        Con la magnetoencefalografia Pantev et al. hanno dimostrato che l’organizzazione tonotopica della corteccia uditiva viene modificata dalla esperienza musicale, tanto più quanto questa è precoce, e che la localizzazione delle risposte della corteccia uditiva a suoni puri o complessi è identica nei non musicisti, mentre si differenzia nettamente nei musicisti. La riposta della corteccia uditiva dei musicisti è ancora più ampia quando essi presentano l’orecchio assoluto
        La Tomografia ad Emissione di Positroni (PET) effettuata su persone sane durante l'ascolto di pezzi musicali ha evidenziato che in ascoltatori inesperti l'ascolto della musica attiva la parte destra del cervello, quella più intuitiva, mentre nei musicisti si attiva la parte più razionale, cioè quella sinistra. Inoltre attraverso il coinvolgimento di aree tipicamente deputate a funzioni diverse, l'emisfero destro "creativo" coglie il timbro e la melodia, il sinistro"logico" analizza il ritmo e l'altezza dei suoni, interagendo con l'area del linguaggio che sembra capace di riconoscere  anche la "sintassi" musicale.
        Lo studio neuropsicologico di pazienti epilettici sottoposti a cortectomia temporale monolaterale terapeutica ha contribuito notevolmente alla conoscenza della localizzazione delle funzioni musicali: una cortectomia temporale destra altera sia la percezione delle melodie che la percezione degli intervalli, mentre la stessa lesione a sinistra altera solo l’analisi degli intervalli.
        Lo stato attuale delle conoscenze ci consente quindi di dire che l’emisfero dominante  identifica il ritmo, gli intervalli, le altezze e che la percezione del timbro ha sede invece nella regione temporoparietale destra, e così pure l’aspetto emozionale e edonistico della musica.
        Si è cercato di capire se il training musicale sia capace di modificare l´organizzazione delle aree sottocorticali sensoriali, in maniera confrontabile al processamento del linguaggio. Si è rilevato che nei musicisti, le risposte elettrofisiologiche del tronco encefalico allo stimolo uditivo sono più ampie, hanno minor latenza rispetto ai non musicisti e che queste risposte sono correlate anche al numero di anni di training, ed inoltre che queste modifiche si estendono anche alle aree deputate al processamento del linguaggio, fornendo ai musicisti un effettivo vantaggio nella elaborazione delle informazioni relative ai toni e agli intervalli. Questo risultato non solo implica un ruolo comune sottocorticale per il processamento del linguaggio e della musica solitamente attribuito unicamente alla corteccia, ma aiuta anche a spiegare il motivo neurofisiologico per cui i musicisti mostrano una maggiore abilità nell’apprendimento della lingua. 
        In uno studio recente sono stati utilizzati due specifici ERP (event-related brain potential), ERAN (early right anterior negativity) e N5, per studiare nei bambini il processamento cerebrale delle strutture sintattiche della musica e del linguaggio. Poiché si ritiene che nel cervello queste due funzioni siano almeno in parte sovrapposte, gli Autori si aspettavano di riscontrare difficoltà nel processamento della sintassi musicale nei bambini con difficoltà linguistiche. I risultati hanno confermato le attese. Nei bambini con difficoltà di sintassi linguistica non erano evocati dallo stimolo musicale né ERAN né N5, al contrario di quanto invece accadeva nel gruppo di controllo. Questi risultati suggeriscono una stretta inter-relazione tra il sistema di  processamento della musica e del linguaggio e pongono le basi per una possibile utilità dell´insegnamento musicale nei bambini con difficoltà del linguaggio.
        Gran parte delle ricerche attuali è rivolta allo studio di tutti quegli aspetti della funzione musicale per i quali non è stato ancora identificato il substrato anatomo-fisiologico. La memoria musicale  o  il cosiddetto talento musicale ad esempio sono collegabili in qualche modo alla dominanza emisferica o ad un particolare sviluppo funzionale di alcune aree cerebrali? Forse nelle persone dotate di talento o musicalmente preparate si stabiliscono più facilmente e più velocemente rispetto ad altre persone degli speciali circuiti neuronali e la stessa dominanza emisferica può mutare nel tempo in funzione della specializzazione musicale.
        E’ stato condotto uno studio per indagare i correlati neurali della memoria musicale utilizzando la fMRI evento-correlata. Per evitare che i dati fossero falsati dall´esperienza del soggetto, si è utilizzato come stimolo un brano completamente nuovo. I dati suggeriscono che nel ricordo del brano musicale sia coinvolta l´area destra dell´ippocampo, le regioni temporali bilateralmente, il giro frontale inferiore sinistro e il precuneo sinistro. Inoltre, l´attività dell´area destra dell´ippocampo risultava correlata con la percentuale di successo nel richiamare alla memoria il brano musicale dimostrando che quest´area esercita un ruolo importante nella memoria musicale.               
        E’ stato dimostrato che per meglio adattarsi a una stimolazione sensoriale costante, i neuroni del sistema uditivo si "sintonizzano" su alcune caratteristiche acustiche dello stimolo uditivo. Uno studio recente ha indagato se nei musicisti questa particolare programmazione dei neuroni acustici possa essere influenzata dalla propria esperienza musicale. A questo scopo due gruppi di musicisti esperti, suddivisi in violinisti e flautisti, sono stati sottoposti all´ascolto selettivo di alcune Partite di Bach per violino solo e per flauto solo mentre veniva registrato il loro flusso ematico cerebrale attraverso la fMRI. Le immagini hanno mostrato un esteso network neuronale che sottintende la propria area di esperienza musicale e che implica una maggiore sensibilità alla sintassi musicale, al timbro, e alle interazioni suono-movimento (giro precentrale) quando la musica viene suonata con il proprio strumento. Questi risultati dimostrano che l´esperienza musicale personale è in grado di modulare la plasticità neuronale e che l´adattamento dei neuroni uditivi si estende ben al di là delle strutture acustiche e di comunicazione.           
        Le aree cerebrali in cui si processano i toni e le frequenze sono fondamentali per la comprensione del linguaggio, la percezione della musica e la discriminazione spaziale delle sorgenti di suoni contemporanei. Uno studio ha cercato di individuare queste aree utilizzando un test basato su stimoli in cui il tono (periodicità) e la frequenza venivano dissociati, e conclude che la rappresentazione neurale dei toni sembra essere localizzata al margine laterale della corteccia uditiva primaria in una regione che risponde alle basse frequenze, coerentemente con quanto suggerito da recenti studi di neuroimaging e che si estende anche alla corteccia uditiva non primaria. 
    La fMRI (associata alla VAS, visual analogue score) con misurazione del BOLD (the blood oxygenation level dependent signal contrast) è stata usata per indagare i circuiti neurali coinvolti nella percezione di sensazioni di gioia o tristezza durante l’ascolto di musica classica. Secondo lo studio il processamento delle emozioni in risposta alla musica, oltre che nelle aree temporali mediali tradizionalmente chiamate in causa, avverrebbe in un network che integra lo striato ventrale e dorsale, zone coinvolte nel rinforzo e nel movimento e nel cingolato anteriore, zona importante nel focalizzare l’attenzione.
      E’ un problema ancora aperto se le emozioni e i contenuti percettivi cui si riferiscono vengano processati da aree differenti o se le regioni cerebrali che mediano le emozioni siano anche coinvolte nel processamento dei contenuti ad esse associati. Con la fMRI è stato dimostrato che quando la musica è associata ad un film che mostra azioni reali si riscontra una maggiore attivazione dell’amigdala, dell’ippocampo e delle aree laterali prefrontali, un’attivazione differenziale che non si raggiunge invece quando l’emozione è provocata solo dalla musica. Se ne conclude che l’amigdala, il centro delle emozioni umane, è maggiormente stimolata quando le emozioni sono evocate anche da contenuti che si riferiscono al mondo reale. 
        Ma la sensibilità musicale è innata? QQ Q     qqqqq
     In parte lo è: il ricorso a Mozart appare naturale quando si affronta un simile argomento. Ma si potrebbero citare altri celebri esempi di precocità musicale:  la famiglia Bach, Haendel, Mendelssohn, Schubert.
        Le ricerche attuali d’altronde supportano l’ipotesi di una origine congenita per le abilità musicali e per la capacità di modificarle in risposta agli stimoli ambientali. Ed è noto che alcuni sono in grado di esprimere le loro emozioni più agevolmente attraverso la musica che attraverso i simboli verbali. Ciò è possibile anche senza il feedback sensoriale che è una conditio sine qua non nelle altre forme artistiche. Difficile immaginare un pittore cieco, mentre un compositore può comporre opere di grande complessità anche dopo che l’organo dell’udito sia stato inattivo per anni (Beethoven, Smetana, Fauré). Come non ricordare l’episodio, che ha il sapore dell’aneddoto, ma è storia vera, di Beethoven che, affiancando il direttore Umlauff nella prima esecuzione della Nona Sinfonia, traduce in gesti la lettura della partitura senza essere in grado di udire nulla, e che viene invitato dalla giovane soprano Unger a girarsi verso il pubblico viennese in tripudio che sventolava bianchi fazzoletti perché l’Autore vedesse l’entusiasmo non potendo percepirlo acusticamente.
        Finora solo sporadicamente la percezione e la performance musicale erano state affrontate sotto il profilo genetico. Un recentissimo studio finlandese ha pubblicato i risultati di uno studio sul substrato genetico della percezione musicale. 234 individui appartenenti a 15 gruppi familiari finlandesi sono stati reclutati e sottoposti a due test specifici per definire le loro attitudini musicali: il test finlandese KMT (Karma Music test), per valutare la capacità di strutturare le informazioni uditive, e the Seashore pitch and time discrimination subtests (SP and ST respectively) usati internazionalmente, per valutare la capacità di discriminazione dei toni e dei tempi. Gli Autori hanno poi eseguito un´analisi sull´intero genoma utilizzando 100 marcatori per verificare l´ereditabilità di questi tratti. È stata rilevata una percentuale del 42% per il KMT, del 21% per il ST, del 58% per il SP e del 48% per i test combinati. L´analisi di linkage rivela inoltre un possibile contributo alla predisposizione genetica per le attitudini musicali di numerosi geni, tra i quali una porzione del genoma precedentemente associato alla dislessia, il DYX6, quando si usa una combinazione di musica e testo.


PATOLOGIA DELLA RICEZIONE MUSICALE

        Gli individui affetti da amusia congenita sono caratterizzati da una alterata percezione e produzione della musica. E’ stata descritta per la prima volta nel 1752 da J.Ph.Rameau che raccontò delle difficoltà incontrate nell’insegnamento del canto ad un giovane incapace di riconoscere l’unisono, l’ottava e l’altezza dei suoni. E’ una condizione più frequente di quanto si ritenga dal momento che non è facile individuarne la presenza. Lo stesso amusico spesso non sa di esserlo. Studi quantitativi sull’amusia sono stati condotti dal linguista inglese Tennis Butler Fry nel 1948 e nel 1980 (la seconda volta insieme con il genetista ceco Hans Calmus), arrivando alla conclusione che gli amusici rappresentano circa il 5% della popolazione.
        I disturbi della ricezione musicale sono stati speso assimilati ai disturbi della sfera del linguaggio (afasia), dal momento che spesso coesistono. Ma già nel 1922 Henschen asserì, constatando l’esistenza di molti casi di amusia senza afasia e viceversa, che il substrato cerebrale del linguaggio e della musica dovesse essere differente. E l’amusia non accompagna necessariamente l’afasia: è noto il caso di Shebalin, compositore e direttore di conservatorio, che ha continuato a comporre e supervisionare il lavoro dei suoi allievi malgrado un grave disturbo del linguaggio.(Luria,1965). Così come sono stati riportati casi di pianisti, organisti e direttori d’orchestra che hanno continuato la loro carriera pur in presenza di una afasia di Wernicke conseguente ad una lesione ischemica temporale sin che aveva determinato un’alessia verbale e lasciato integra la lettura musicale.
        In uno studio condotto su un gruppo di amusici (voxel-based morphometry, VBM) si era osservato che essi presentavano una ridotta quantità di sostanza bianca a livello del giro inferiore frontale destro rispetto ai controlli e una maggiore presenza di materia grigia. Una seconda ricerca ha approfondito i risultati precedenti, ottenuti attraverso la misura dello spessore della materia grigia in tale area. Nei soggetti affetti da amusia congenita gli Autori hanno rilevato un ispessimento significativo della materia grigia a livello della corteccia nel giro frontale inferiore destro, suggerendo che la presenza di questa malformazione corticale, dovuta forse ad un alterato pattern di migrazione neurale, potrebbe essere alla base del difetto caratteristico Di questo tipo di amusia, compromettendo il normale sviluppo della via frontotemporale.
        Musiche inesistenti di ogni genere vengono avvertite nel corso delle allucinazioni musicali. Sono  state descritte soprattutto in persone anziane con importante deficit dell’udito. La PET ha dimostrato che nel corso delle allucinazioni vengono attivate le stesse aree cerebrali che si attivano quando si ascolta musica con l’eccezione della corteccia uditiva primaria. In assenza quindi di un stimolo acustico reale si attivano unicamente le aree uditive secondarie. Non è chiara la causa della loro comparsa. Probabilmente si tratta di impulsi caotici autogenerati che vengono interpretati come suoni e poi elaborati dalle aree associative che gestiscono la memoria musicale ottenendone melodie familiari a forte contenuto emotivo.
        Per quanto riguarda la epilessia musicogena si è cercato recentemente di localizzarne  i correlati neurali conducendo uno studio su una donna colpita da frequenti crisi musicogene. Ella è stata sottoposta a FDG-PET (fluorodeoxyglucose positron emission tomography) e SISCOM (SPECT con sottrazione ictale co-registrata con RM). Ella presentava crisi comiziali parziali complesse consistenti in palpitazioni e senso di malessere, occhi sbarrati e automatismi oroalimentari. L´EEG ictale mostra onde theta originate dal lobo temporale destro; la SISCOM mostra iperperfusione ictale a livello della porzione destra dell´insula, dell´amigdala, e della testa dell´ippocampo e del lobo temporale destro; la FDG-PET mostra ipometabolismo interictale nella stessa regione cerebrale. Il quadro suggerisce un´attivazione anomala delle strutture temporali-limbiche collegate alla risposta emozionale alla musica. (9)


La Musica come terapia
ovvero Apollo, Davide, Orfeo, Mozart: per quale effetto?

        Nell’antica Grecia, Apollo era considerato il dio sia della Medicina che della Musica.  F.Bacon nella sua opera fondamentale “The Advancement of Learning “ afferma : “I poeti fecero bene a unire la musica e la medicina in Apollo perché il compito della medicina non è altro che intonare quella strana arpa che è il corpo umano e riportarla all’armonia”.
        Il mago cantore, nelle culture primitive, deve, per poter esercitare un’influenza diretta sui fenomeni della natura o sugli spiriti che li governano, imparare a conoscere la musica interna delle cose e non solo i rumori che tutti colgono. Egli è dunque un “risuonatore cosmico”, che chiama e risveglia nell’altro il suo dio. Ogni uomo ha infatti ricevuto dagli dei una “canzone individuale” che è una melodia che esprime il suo ritmo individuale e un suono fondamentale che costituisce la realtà metafisica ultima e personale del suo possessore. 
        “La malattia va considerata come un errore che getta l’uomo in balìa di uno spirito la cui voce rotta si nutre succhiando la sostanza sonora del corpo umano; essa si dà alla fuga quando sente cantare il proprio nome o la propria voce. Scopo dell’intervento terapeutico è quindi ripristinare la musica originaria. Questo corrisponde, in un approccio analitico, a sentire la musica dell’altro, il suono ed il ritmo che sono la sua essenza, qualcosa che sta nelle parole ed oltre le parole. Se sentiamo l’altro come musica, allora egli diventa per noi una realtà, un valore affettivo, e quindi un obbligo morale. Altrimenti resta un aggregato atomistico di segnali, tutti singolarmente interpretabili, ma come un esercizio scolastico, senza musica, senz’anima. Al terapeuta spetta di suonare la musica che manca al paziente, ma che pure è nascosta dentro di lui.         
        Il suono della lira di Orfeo, sceso nell’Ade alla ricerca della sua Euridice, commuove alle lacrime le terribili Furie e l’amata gli viene restituita; la lira di Orfeo anestetizza dunque il male, frena le passioni, e spiana la via alla realizzazione di un percorso che, per quanto sia tinto di dolore e disperazione, condurrà all’unione definitiva della coppia, pur fuori dal mondo dove il tempo non è più un valore e dove regnano la grande pace e l’armonia del silenzio. “La musica congiunge perché porta a consuonare tutto ciò che è capace di vibrare”.
        E’ l’utopia illuministica che il percorso iniziatico di Mozart-Tamino-Pamina mira a realizzare sulla terra, approdando con l’aiuto della musica nel mondo della pace e della luce di Sarastro.
        Nel libro di Samuele si narra: “Lo spirito del Signore si era allontanato da re Saul ed uno spirito malvagio di Dio lo aveva invaso”; “Davide prendeva la cetra e suonava con la sua mano, Saul trovava la calma”. Davide può essere quindi considerato il primo musicoterapeuta. Il rapporto tra Saul e Davide altro non è che il rapporto fra paziente e terapeuta, e la musica è il farmaco. Il dramma che affligge il re è il senso di solitudine del malato; il senso di isolamento che impedisce la comunicazione. Da ciò la necessità di utilizzare un mezzo che metta in  comunicazione Saul con Davide. La scelta della musica non è casuale, essa parla infatti il linguaggio delle emozioni e come tale svela il dolore e rivelandolo lo risolve.
        L’utilizzazione della musica a scopo terapeutico risale dunque a tempi antichissimi, sebbene manchi, allo stato attuale, una descrizione scientifica dei meccanismi mediante i quali la musica stessa esercita i suoi effetti. La musica infatti è stata per troppo tempo trascurata dalle neuroscienze, sia perché la cultura medica si è sempre indirizzata alla forma di comunicazione  più comune, cioè il  linguaggio verbale, sia perché la musica non ha mai ricevuto l’attenzione che meritava in un mondo che ha sempre più guardato ad essa come strumento edonistico e non come elemento essenziale di vita. 
       La funzione terapeutica della musica risiede nel suo potere comunicativo, nella sua capacità di aprire canali di comunicazione non verbali. Nella musica si stabilisce una relazione tra la nostra capacità di percepirci e quanto di noi stessi ancora ignoriamo; ecco perché il mondo sonoro possiede un risvolto terapeutico, una relazione che si origina sicuramente dai suoni, ma che trascende poi gli stessi.
        “La musica è in grado di evocare e stimolare nell’individuo una serie di reazioni il cui fine, la cui tensione ultima è quella di avvicinarci a qualcosa di assoluto, di appagarci, redimerci sia pure per un istante dal nostro straordinario senso di incompletezza. Il grande potere della musica è proprio quello di mettere in relazione finito e infinito (la stessa dicotomia che alcuni definiscono corpo-anima, altri natura-cultura), facendoli danzare attorno ad un tempo storico e psichico quale è la vita.”        
         La musica, guidandoci verso la riconciliazione con i nostri ritmi vitali perduti, i ritmi vitali specifici di ognuno di noi, può favorire una metamorfosi, una ri-nascita, un cambiamento nel modo di percepire noi stessi e l’altro, nel modo di rapportarsi alla vita.
        “E’ nella musica e attraverso la musica che ci troviamo più direttamente in presenza di quell’energia dell’essere che è logicamente e verbalmente inesprimibile, ma perfettamente tangibile, e che comunica ai nostri sensi, alla nostra riflessione il poco che possiamo afferrare del puro miracolo della vita. Si tratta, al di là di ogni specificità liturgica o teologica, di un movimento sacramentale. O, come dice Leibniz: la musica è un’aritmetica segreta dell’anima che non sa di contare (exercitium arithmeticae occultum nescientis se numerari animi) (Epistolae ad Diversos, lettera 154 a Goldbuch 1712) .” (G. Steiner,1989) 
       “...La capacità della musica di decodificare le emozioni o queste di decodificarsi attraverso il suono ha una motivazione ben più profonda. Nella musica esiste qualcosa di non musicale, legato alla pre-musica; alla spiritualità dell’uomo. Questa coscienza esistenziale resa possibile dalla musica è una manifestazione della psiche, che si rivela a se stessa attraverso i suoni, che all’origine ne erano parte. ...” 


Gli studi clinici sugli effetti della Musica

        Gli studi clinici in corso sugli effetti della musica dimostrano con sempre maggiore affidabilità come essa migliori la precisione dei movimenti fini, la deambulazione, il controllo della postura, ma anche lo stato di benessere affettivo e comportamentale nei malati affetti da alterazioni della sfera motoria .
        E’ stata ampiamente documentata l'influenza della musica sul miglioramento dei parametri motori in pazienti con Morbo di Parkinson, Alzheimer, Sclerosi Multipla, atassia, spasticità. Le persone malate si sottopongono volentieri a incontri di attività motoria accompagnata dalla musica e da altri stimoli emotivamente coinvolgenti (danza, ritmi, giochi) in cui la  musica svolge un ruolo dominante. 
    Il ruolo potenziale della musica nella riabilitazione neurologica non è stato finora studiato sistematicamente. Ma recenti pubblicazioni hanno portato un grosso contributo in questo specifico settore. 
        In 20 pazienti colpiti da ictus (10 con paresi dell’arto superiore destro e 10 con paresi dell’arto superiore sinistro)  è stata attuata una strategia di riabilitazione basata sulla musica per evocare risposte sensomotorie. La terapia consisteva in un training guidato all’uso di una tastiera o della batteria, per tre settimane, che coinvolgeva prima l’arto paretico e poi il controlaterale, in aggiunta alla terapia convenzionale. Il gruppo di controllo riceveva solo la terapia convenzionale. Tutti i pazienti sottoposti a training musicale hanno mostrato un significativo miglioramento nella velocità, precisione e scioltezza dei movimenti rispetto al gruppo di controllo, confermando l’efficacia di questo approccio per la riabilitazione neuromotoria dei pazienti con ictus.
        Un recentissimo report finlandese ha indagato se l´ascolto sistematico e quotidiano della musica possa facilitare il recupero delle funzioni cognitive e del tono dell´umore dopo ictus cerebrale. 60 pazienti, ricoverati in fase acuta per una lesione ischemica nel territorio dell’arteria cerebrale media dx o sx,  sono stati suddivisi in tre gruppi: musicale, linguaggio e controllo. Per i successivi due mesi il "gruppo musica" ha ascoltato quotidianamente musica selezionata personalmente; il "gruppo linguaggio" si è concentrato sull´ascolto di audiolibri, mentre al "gruppo controllo" non sono stati dati compiti di ascolto. Tutti e tre i gruppi partecipavano al programma standard di riabilitazione e cura. I test effettuati (una settimana, 3 mesi e 6 mesi dopo l’ictus) per verificare il tono dell´umore e il recupero cognitivo indicano che il gruppo che ha ascoltato musica mostra miglioramenti cognitivi (memoria verbale e attenzione focalizzata) più significativi e rapidi, sperimentando una depressione minore rispetto agli altri due gruppi.
        Si è voluto verificare se ed in che misura l´ascolto di alcuni tipi di musica possa aiutare i pazienti ipertesi a tenere sotto controllo la pressione sanguigna. Trenta soggetti di età compresa tra i 63 e i 93 anni sono stati divisi in due gruppi, uno dei quali è stato sottoposto ad ascolto selettivo della musica 25 minuti al giorno per 4 settimane. Al termine del periodo di studio si è osservato un decremento della pressione sistolica e diastolica, rispettivamente di 11,8 e 4,7 mmHg, mentre nel gruppo di controllo non si è osservata alcuna variazione significativa. La musicoterapia potrebbe costituire quindi un valido supporto nel trattamento dell´ipertensione.
        Nell’intento di capire i meccanismi fisiologici attraverso i quali la stimolazione musicale condiziona in senso positivo gli stati di depressione e ansia, una ricerca, effettuata sui topi, ha cercato di stabilire se la musica sia in grado di modulare la produzione di neurotrofine nella regione ipotalamica (NGF, nerve growth factor e BNDF, brain-derived neurotrophic factor), notoriamente coinvolta negli stati d´ansia determinati dall´asse ipotalamo-ipofisi-surrene. Un gruppo di topi adulti sono stati esposti per 21 giorni consecutivi a 6 ore quotidiane di musica di sottofondo a volume compreso tra 50 e 60 dB. Alla fine del trattamento il dosaggio delle neurotrofine nel cervello degli animali ha consentito di osservare nell’ipotalamo un significativo aumento del BNDF e una diminuzione del NGF, suggerendo che la modulazione delle neurotrofine può, almeno in parte, spiegare gli effetti della musica sul cervello.
       Ma fino a che punto la musica è capace di alleviare lo stress? L’effetto di un’attività musicale ricreativa su alcuni markers di stress è stato valutato in un gruppo di giapponesi maschi impiegati in una grande azienda. I volontari sono stati divisi in due gruppi uno dei quali è stato impegnato per un’ora al giorno in un’attività musicale ricreativa mentre l’altro è stato impegnato per lo stesso periodo in una lettura ricreativa. I gruppi venivano invertiti a metà studio e i dati analizzati per la fase pre e post-trattamento.  L’effetto dell’attività sullo stress è stato valutato sia attraverso test di autovalutazione sia attraverso markers biochimici di attivazione del sistema immunitario. In questo modello, l’attività musicale si è dimostrata in grado di ridurre oggettivamente il livello di stress anche dal punto di vita biochimico riducendo i markers infiammatori e migliorando l’attivazione delle cellule “natural killer” del sistema immunitario.
        In uno studio dieci pazienti in condizioni critiche sono stati sottoposti a uno studio randomizzato per identificare se e quali siano i meccanismi biochimici attraverso i quali la musica può indurre il rilassamento. Come test sono stati selezionati alcuni movimenti lenti dalle sonate di Mozart. Prima dell´ascolto e un´ora dopo sono state monitorate l´attività elettrica cerebrale, i livelli sierici di ormoni dello stress e delle citochine, ed è inoltre stata registrata la dose di sedativo necessaria per ottenere il rilassamento del paziente. I risultati mostrano che l´ascolto della musica è in grado di ridurre notevolmente la dose di sedativo utilizzata, e mostrano che nei campioni di sangue dei pazienti sottoposti alla terapia musicale si rileva un livello più alto di ormone della crescita e una diminuzione dell´interleukina-6 e dell´epinefrina. Questa riduzione nei livelli ematici degli ormoni dello stress si associa anche a una diminuzione della pressione arteriosa e del ritmo cardiaco. Lo studio delinea quindi una via neuro-ormonale dipendente dall´asse ipotalamo ipofisi surrene attraverso il quale la musica sarebbe capace di indurre effetti benefici.(10)
        Sono stati studiati gli effetti delle tonalità maggiore e minore sulla riduzione dello stress attraverso la topografia ottica e l´osservazione di un marker endocrinologico di stress, il cortisolo salivare. La musica nella tonalità maggiore riduce significativamente i livelli di cortisolo nelle ghiandole salivari durante la fatica mentale. Questo suggerisce che la musica sia in grado di indurre una risposta emozionale simile a quella del piacere o della felicità. Inoltre, gli Autori osservano il tipico pattern asimmetrico di risposta allo stress nella corteccia temporale superiore e suggeriscono che il processamento di emozioni di tristezza e felicità possa essere correlato alla capacità della musica di ridurre lo stress (39).
        Una recente ricerca ha voluto verificare se l´ascolto di un brano de "Le quattro stagioni" di Vivaldi abbia un effetto sulla capacità di eseguire dei test di memoria da parte di alcune persone anziane. La ricerca ha mostrato un significativo incremento nella performance dei soggetti sottoposti all´ascolto della musica in confronto a un gruppo di controllo e a un gruppo esposto a rumore di fondo. Gli Autori commentano i risultati nell´ambito dell´ipotesi di un aumento della vigilanza e del tono dell´umore nell´anziano. (23)
        Altri autori hanno studiato l´effetto della Sonata K.448 di Mozart sull´attenzione volontaria e involontaria attraverso il rilevamento di dati comportamentali e dei potenziali evocati visivi con il paradigma oddball. Sono state registrate le componenti P3a (relativa all´attenzione involontaria) e P3b (relativa all´attenzione volontaria). L´effetto Mozart è stato evidenziato nei dati relativi ai potenziali evocati ma non nei dati comportamentali. La latenza della P3b veniva influenzata dalla sonata K.448 mentre non si aveva alcun effetto sulla P3a. Nella condizione di stimolo musicale si osservava piuttosto una diminuzione delle ampiezze di entrambi i segnali. Gli Autori interpretano queste variazioni come un effetto Mozart positivo sull´attenzione involontaria e negativo su quella volontaria, ma attribuiscono a questi effetti meccanismi diversi.(46) La stessa Sonata è stata utilizzata per valutarne l’effetto sull’abilità di ragionamento spazio-temporale attraverso la spettroscopia “near infrared”. Gli Autori hanno rilevato all’ascolto di Mozart (rispetto al silenzio e alla musica di Beethoven) una più spiccata attivazione della corteccia prefrontale dorsolaterale e occipitale, entrambe ritenute fondamentali per il ragionamento spazio-temporale. (40)
        Può la musica essere utilizzata come strumento per migliorare le capacità di lettura di studenti delle scuole di secondo grado, e in particolare di ragazzi affetti da disturbo specifico di lettura? Questo test effettuato su ragazzi delle scuole medie ha dimostrato che l’utilizzo del training musicale ha permesso di raggiungere un significativo miglioramento nei subtest di decodifica e vocabolario  sia nei ragazzi con problemi specifici che, mediamente, in tutti gli studenti esaminati.(33)       
        Un’altra ricerca che suggerisce come la terapia musicale possa essere uno strumento di valido ausilio per ridurre lo stress nei reparti di oncologia pediatrica, in particolare, in questo studio  riporta l’esperienza relativa all’utilizzo della musica nei reparti di  oncologia pediatrica per alleviare il disagio dei bambini sottoposti radioterapia. L’utilizzo della musicoterapia anche nelle sale d’aspetto rende possibile inoltre costruire un ponte di comunicazione creativa  anche con i familiari (30)
         In uno studio controllato sono state esaminate oggettivamente le abilità musicali e la “sensibilità” verso la musica dei bambini con Sclerosi Tuberosa, una malattia autosomica dominante che si manifesta con epilessia, lesioni cutanee, amatomi nel cuore, cervello e reni e soprattutto ritardo mentale che ne condiziona pesantemente le capacità verbali e di interazione sociale. Lo studio ha confermato la convinzione mai provata che le abilità musicali siano intatte e spesso maggiormente sviluppate nei bambini con sclerosi tuberosa rispetto alle altre abilità (linguaggio, cognizione e sviluppo motorio) e suggeriscono anche un potenziale campo d’azione in questi bambini per la riabilitazione attraverso la terapia musicale. (26)                               
        La musica di W.A.Mozart è stata finora quella maggiormente utilizzata sia nelle sperimentazioni sui rapporti musica-cervello sia nella musicoterapia e pare che con essa si ottengano i migliori e più costanti risultati in genere e nello sviluppo delle capacità cognitive in particolare (il così detto effetto Mozart).  L’ipotesi formulata da Gordon Shaw è che oltre alle incredibili doti logiche, mnestiche, e musicali di cui era dotato Mozart, il musicista componeva in giovane età, sfruttando al massimo le capacità di fissazione spazio-temporale di una corteccia cerebrale in fase evolutiva, cioè al culmine delle sue potenzialità percettive e creative.  Tomatis sostiene invece che essendo la musica  di Mozart la più conosciuta  e la più amata, essa può esplicare il massimo effetto terapeutico sul corpo umano, favorendo l’organizzazione dei circuiti neuronali e rafforzando i processi cognitivi e creativi dell’emisfero destro.
        La mia personale opinione è che solo le incomplete conoscenze musicali degli sperimentatori e la grande notorietà e familiarità di parte della vasta produzione mozartiana, soprattutto dopo l’effetto mediatico del pluripremiato Amadeus di Forman, abbiano in un certo senso “guidato” le sperimentazioni e portato all’individuazione di un effetto Mozart piuttosto che di un effetto Haydn o di un effetto Vivaldi o di un effetto Mendelssohn. Inoltre i risultati assai contrastanti ottenuti con le sperimentazioni succedutesi negli ultimi 10 anni riguardo alla possibilità che l´ascolto sistematico della musica del genio salisburghese possa influenzare positivamente e soprattutto stabilmente la performance cognitiva sostengono la mia perplessità. Non a caso recentemente è stata coniata l’espressione “requiem per l’effetto Mozart”, in contrapposizione all’utilizzo smodato e soprattutto interessato che negli States si continua a fare di questo strumento. (28)                                  
        E tuttavia è innegabile che la musica di Mozart possegga caratteristiche peculiari, che fanno di essa il pressocché universale luogo ideale di ritorno. Mozart stesso d’altronde ci aiuta a capire perché quando nelle sue lettere scrive: “..nella mia opera la musica è per ogni genere di ascoltatori, tranne che per quelli con le orecchie lunghe” (16 dicembre 1780); e a proposito dei Concerti K413,414,415 :“…essi sono una via di mezzo fra il troppo difficile e il troppo facile: sono molto brillanti, piacevoli all’orecchio, naturali senza cadere nella vuotezza, qui e là solo gli intenditori possono ricavarne soddisfazione, ma anche i non intenditori proveranno piacere pur non sapendo perché” (28 dicembre 1782).
        Da circa 30 anni la nostra complessa e delicata attività chirurgica sul sistema nervoso centrale e periferico si svolge in presenza di musica diffusa a basso volume nella sala operatoria.  L’effetto positivo è stato gradualmente avvertito dalla maggior parte degli addetti in sala e il “rumore” di fondo ambientale, di grande disturbo per la concentrazione di chi lavora col microscopio operatore, si è come per incanto ridotto notevolmente, come d’altronde era già stato segnalato da altri Autori. (16)
        La selezione dei brani utilizzati (Tab.I) rispetta naturalmente le preferenze e la cultura degli operatori. Ma varia anche a seconda delle procedure chirurgiche in corso (uso esclusivo del microscopio, particolare delicatezza della procedura). Ritengo personalmente che la musica dell’età barocca sia la più adatta ad accompagnare le più ardite sfide chirurgiche. I tre Concerti per violino di Bach hanno accompagnato in maniera straordinaria ed insostituibile il clippaggio di tutti gli aneurismi da me trattati finora infondendo la calma necessaria ed esaltando la precisione del gesto. La musica vocale è stata esclusa e così pure la musica romantica, cioè tutta la musica ricca di “passione” e permeata di significati extramusicali. (28)
        Non può la nostra essere definita una sperimentazione scientifica condotta con le regole che tale sperimentazione richiede, ma siamo certamente in grado di validare l’efficacia della presenza della musica durante gli interventi chirurgici. Con mia grande soddisfazione alcuni fra medici e paramedici, del tutto estranei alla musica colta, nel corso degli anni hanno imparato ad amare e a memorizzare i brani più frequentemente utilizzati, avvertendone evidentemente la bellezza e la validità.      
          
Ritorno al Mito
L’uomo dell’organetto (Der Leiermann)

Wunderlichter Alter, soll ich mit dir geh’n?
Willst zu meinen Liedern deine Leier dreh’n?
(E se venissi con te, vecchio misterioso?
Accompagneresti i mie canti col tuo organetto?)
(F.Schubert, 1827, da Winterreise di W.Mueller)

        Chi si pone come traghettatore sperimentale tra due mondi apparentemente così lontani (Musica-Scienza e Musica-Mito) è pressocché impossibile che non venga contagiato dagli stessi mondi che ha attraversato. Si può parlare di basi scientifiche di un mito? Si può parlare di un mito che diviene strumento di una scienza che non ne ha ancora svelato gli elementi costitutivi e di conseguenza i correlati neurologici?
       Torniamo dunque al Mito, al profondo mistero di questa Musica che più s’impossessa di noi più assume i connotati dell’indicibile e dell’irraggiungibile nel momento in cui cessa di esistere e diviene un ricordo.
       Mi domando da sempre se il messaggio presente nelle note (e voglio dare per scontato che un messaggio vi sia) in quale misura e con quale modalità raggiunga l’ascoltatore. La possibilità recettiva come pure la capacità di emozionarsi sono profondamente diverse da una persona all’altra, ma immaginando che si possa arrivare a realizzare una completa sintonizzazione con la mente - l’anima del compositore, consentirebbe ciò di rivelare, al di là della pura forma intelligibile, quel tramite attraverso il quale sono stati captati e fatti rivivere frammenti melodici e ritmi universali latenti? E, mi domando ancora, non è forse questa l’unica possibile modalità concessaci  per accostarci alla soglia dell’atto creativo originario?
        Il risultato non può che essere direttamente proporzionale alla capacità dell’ascoltatore di realizzare una solidale empatia con l’autore (un balzo nell’infinito?).
        Per approdare a questa soglia, assai remota invero, occorre una forte volontà ed un esercizio continuo che consentano di affinare la capacità all’ascolto e  alla comprensione. Deve esserci cioè un allenamento costante della mente e dell’anima. Senza cedimenti e rinunce. Per sfidare l’impossibile.
        Ma è ugualmente indispensabile una profonda conoscenza del mondo del compositore, della sua storia, per poter cogliere appieno i significati nascosti dietro e dentro le note e poter accedere all’universale attraverso il particolare.
        Non si comprenderà la Patetica di Tchaikovsky, se non conoscendo ciò che questa estrema partitura sottende e di che tinte è fatta la sofferenza che trasuda dalle sue viscere. Né sarà possibile cogliere i segni del dramma che impregna il cammino del viandante schubertiano se non si è diventati suoi compagni di viaggio; viceversa tutti potranno con fatica approdare all’ultimo canto della Winterreise, il desolato Leiermann, ma pochi riusciranno a interiorizzarne il pesante fardello per farsene carico fino alle estreme conseguenze.(28)
        Difficile pensare ad un rapporto Musica-Cervello uguale per tutti: il corredo genetico, la sensibilità specifica, l’allenamento e soprattutto l’educazione all’ascolto realizzano la differenza. Poiché “…ascoltare significa mettersi in condizioni di decodificare ciò che è oscuro, confuso o muto, per far apparire alla coscienza il “di sotto” del senso (ciò che è vissuto, postulato, voluto come nascosto). La comunicazione che implica questo secondo tipo di ascolto è religiosa: essa collega il soggetto ascoltatore al mondo occulto degli dèi che, come si sa, parlano una lingua di cui giunge agli uomini solo qualche enigmatico frammento, mentre -crudele situazione- è vitale per loro comprenderla. Ascoltare è il verbo evangelico per eccellenza: la fede è tutta ricondotta all’ascolto della parola divina e attraverso l’ascolto l’uomo si lega a Dio.” (22)   
        Preferiamo affidarci alle parole di Wackenroder, che meglio di chiunque altro ha espresso quanto cerchiamo di affermare:  “Fra le relazioni matematiche dei singoli suoni e le diverse fibre del cuore umano si è manifestata una inspiegabile simpatia, attraverso la quale l’arte dei suoni è divenuta un meccanismo ricco e agevole per la descrizione dei sentimenti umani. …Nessun altra arte sa fondere in maniera così misteriosa  la profondità, la forza sensuale e i significati oscuri e fantastici….Nessun altra arte come la musica ha una materia prima, che è già in sé ricca di spirito divino.”(43)
        “Audacemente la musica tocca la misteriosa arpa, e traccia in questo oscuro mondo, ma con preciso ordine, precisi e oscuri segni magici, e le corde del nostro cuore risuonano, e noi comprendiamo la loro risonanza. Nello specchio dei suoni il cuore umano conosce se stesso.”(43)
         “Ma perché tento, io stolto, di sciogliere le parole in suoni? Non è mai come io sento. Venite voi, suoni, avvicinatevi, e salvatemi da questo doloroso sforzo terrestre verso le parole, avviluppatemi coni vostri raggi milliformi nelle vostre nuvole splendenti, e sollevatemi su, nel vecchio abbraccio del cielo che tutto ama!” (43).
        Il dramma della solitudine e della disperazione del viandante schubertiano approda oltre le parole alla desolazione del suono ininterrotto e sempre uguale del vecchio suonatore d’organetto.
        Altro non gli è rimasto, se non la musica. La musica del silenzio: specchio fedele del suo destino.

Epilogo

Musica Dei donum optimum
Trahit homines, trahit Deos.
Musica torvos mollit animos.
Tristesque mentes erigit
Musica, vel ipsas arbores,
Et horridas movet fera
(Berardi, 1681- fine Dialogo I)

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